Il maiale, che in materia di regali si considerava un’autorità, si schiarì la gola. “Non funziona così” disse. “Deve essere un segreto, per cui ciascuno estrae un numero e mantiene il segreto fino alla mattina di Natale”
“Perché devi sempre fare così?” disse la mucca, e l’anatra sospirò. “Ecco che comincia”.
“Prima mi chiedi di fare un regalo di Natale a qualcuno” continuò la mucca “poi viene fuori che bisogna farlo come dici tu, come dire “Ehi, io ho quattro zampe, sono meglio di chiunque altro”.
“Ma scusa, quattro zampe non ce le hai anche tu?” le chiese il maiale.
La mucca emise un verso a metà strada tra un gemito e un sospiro. “D’accordo, è solo perché hai la coda arricciata” disse.
Il maiale cercò di voltarsi all’indietro per guardare, ma riuscì a vedere solo i fianchi. “E’ proprio riccia-riccia’” chiese al gallo. “O più riccia-crespa?”
“Il punto è che sono stanca di farmi dare ordini “ disse la mucca. “E come me, credo anche molti altri”
Era fatta così, e piuttosto che passare la settimana successiva a sentirla lamentarsi, fu deciso che la mucca avrebbe fatto il regalo al tacchino, e tutti gli altri avrebbero estratto un nome e mantenuto il segreto.
Di negozi, ovviamente nel cortile non ce n’erano, il che era un peccato, perché tutti gli animali avevano qualche soldo. Di solito erano le monete che cadevano al contadino e ai suoi figli grassi e capricciosi mentre giravano qua e là facendo i lavori.
Una volta la mucca aveva raccolto quasi tre dollari, poi consegnati ad un vitellino che la famiglia stava portando in paese. “Voglio che mi compri uno zaino” gli aveva detto. “Uguale a quello della figlia del contadino, però più grosso, e azzurro anziché verde. Ti ricordi?”
Il vitellino, prima che lo facessero uscire dalla stalla, si era infilato i soldi dentro la guancia . “E manco a dirlo” si era lamentata poi la mucca, sfortunata come sono, quello non era più tornato”.
Aveva trascorso i primi giorni in assenza del vitellino fremendo in attesa quasi vertiginosa. Fissando la porta della stalla, tendendo l’orecchio per cogliere il rumore del furgone, aspettando con tutta se stessa quello zaino, un oggetto che sarebbe stato suo e di nessun altro.
Quando continuare a sperare non ebbe più senso, la speranza lasciò il posto all’autocommiserazione, e quindi alla rabbia. Il vitellino si era approfittato di lei, aveva speso il suo prezioso denaro in un biglietto d’autobus e salendo a bordo doveva aver pensato: “Tanti saluti, imbecille”.
Fu quindi rincuorante sentire per caso il contadino che, parlando con la moglie, diceva che “portare un animale al paese” era un eufemismo per dire “colpirlo in testa con una sparachiodi”, “Tanti saluti, imbecille”.
La mungitura permetteva alla mucca di stare vicino agli umani, molto più vicino di tutti gli altri animali e, prestando attenzione scopriva un sacco di cose. Chi se la faceva con chi, quanto costava un pieno di benzina, e tante altre piccole informazioni utili: per esempio, il menù del cenone di Natale. Per il ringraziamento, la famiglia era andata a trovare la madre del contadino alla casa di riposo, e avevano mangiato quelle che dal sapore sembravano patatine fritte nel grasso di pollo. Ma a Natale “si sarebbero rifatti”, come diceva la moglie del contadino “e in grande stile”.
“Il mio regalo non lo indovineresti mai, nemmeno tra un milione di anni” gli disse un giorno dopo che furono estratti i nomi.
“Un tappetino da bagno?” chiese il tacchino. Ne aveva visto uno appeso alla corda del bucato nel cortile, e se ne era istantaneamente e insensatamente innamorato: “E’ un asciugamano per il pavimento!” continuava a ripetere a tutti. “Cioè, non è l’idea più pazzesca che abbiate mai sentito?”.
“No, no, è molto meglio di un tappetino per il bagno” rispose la mucca raggiante.
“Impossibile”, sbottò il tacchino. “Cosa può esserci di meglio di un tappetino per il bagno?”
“Lo scoprirai la mattina di Natale” rispose lei.
Quasi tutti gli animali, come regalo di Natale segreto, avevano scelto del cibo. Nessuno lo diceva chiaramente, ma la mucca li aveva visti metterne da parte, e mica gli avanzi, ma la parti migliori: i cavalli, l’avena; il maiale, le croste di pane più spesse. Perfino il gallo, che era il più goloso di tutti, era riuscito a fare un sacrificio e accumulare una manciata di becchime dietro una tanica di benzina vuota in un angolo della stalla. Sia lui sia gli altri dovevano avere una gran fame, ma nessuno se ne lamentava. Ed era proprio questo che, più di tutto, infastidiva la mucca. “Chi di voi si sta sacrificando per me?” si domandò, con l’acquolina in bocca all’idea di qualche boccone prelibato. Guardava il maiale, stravaccato sorridente nel suo recinto, poi il tacchino, che si era appeso un ramoscello di vischio al bargiglio e saltellava da un animale all’altro chiedendo “Chi si offre?” Perfino ai maschi.
Quanto la infastidiva tutta quell’allegria! Aspettare la vigilia di Natale sarebbe stata una tortura, ma la mucca, da brava, aspettò. Quando infine giunse il momento – subito dopo colazione – si avvicinò al tacchino e gli sussurrò “Lo sai, vero, che oggi ti tagliano la testa?”.
Il tacchino reagì con un mezzo sorriso perplesso, come a dire “Stai scherzando” e al tempo stesso: “Ti prego, dimmi che stai scherzando”.
“Se non lo fa il contadino, lo farà uno dei suoi figli” gli confidò la mucca. “Quello di mezzo, probabilmente, il maschio con l’orecchino. Scherzando, li ho sentiti dire che lo faranno con la motosega, ma se poco poco li conosco, useranno la solita accetta. E’ un metodo più tradizionale, e sai quanto ci tengono alle tradizioni”.
Il tacchino scoppiò a ridere, stabilendo che era tutto uno scherzo. Poi, però, vedendo l’espressione compiaciuta della mucca, capì che stava dicendo la verità.
“Da quant’è che lo sai?” le chiese.
“Qualche settimana” gli rivelò la mucca. “Era un po’ che te lo volevo dire, ma poi, con tutta questa agitazione, me ne sono scordata”.
“Mi uccidono per mangiarmi?”
La mucca annuì
Il tacchino si sfilò il vischio dal bargiglio. “Accidenti” disse. “Mi sento davvero scemo”.
Non volendo rovinare il Natale a nessuno, il tacchino annunciò agli altri che avrebbe passato le feste con dei parenti. “E’ il ramo mattacchione della famiglia” disse. “Sono atterrati ieri sera dal Kentucky”. Venne mezzogiorno e quando il contadino e il figlio uscirono in cortile andò loro incontro senza fare una piega, dicendo “Ciao a tutti” e “Ci vediamo tra qualche giorno”.
Gli animali lo salutarono con un cenno, tutti tranne la mucca, che abbassò la testa verso la mangiatoia vuota. Stava giusto pensando che una razioncina di cibo extra ci sarebbe stata proprio bene, quando un pensiero orribile le attraversò la mente. Il gallo era fermo sul porta, e quasi travolgendo la mucca uscì e strillò “Aspetta! Torna qui! Che nome avevi estratto?”
“Prego?” gli rispose il tacchino.
“Ho detto: che nome avevi estratto? A chi va il tuo regalo di Natale segreto?”
“Lo scoprirai” fu la flebile risposta del tacchino. La sua voce, una lieve melodia che riecheggiò nell’aria a lungo, anche dopo che se ne fu andato.
(David Sedaris – Bestiole e bestiacce)