La nascita del graphic novel in America

Creato il 13 giugno 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

La genesi, lo sviluppo e la definizione dei parametri entro cui far rientrare il formato conosciuto oggi come graphic novel sono argomenti vastissimi e controversi, tanto che un trattato esaustivo sull’argomento richiederebbe decine e decine di pagine. Delimitando però la ricerca al territorio degli Stati Uniti d’America e  focalizzandola in particolare sulla nascita puramente linguistica del termine, è possibile rintracciare le prime e essenziali tappe di questo genere: un preludio che comprende  aneddoti e storie di editori sconosciuti come di autori tra i più grandi maestri del fumetto.

Spesso per errore si fa coincidere la nascita del graphic novel in America con la pubblicazione dell’opera di Will Eisner, A Contract With God, nel 1978.
L’equivoco è comprensibile se si pensa che l’artista fu uno dei primi a usare il termine per definire il proprio lavoro e che credette addirittura di averlo coniato per primo:

Quelli che mi hanno già sentito parlare prima conoscono questa storia su come lo chiamai “graphic novel”. Completai il libro, A Contract With God, e chiamai il presidente della Bantam Books a New York, perché sapevo che aveva già visto come lavoravo con The Spirit. Si trattava di un uomo molto impegnato, che non aveva certo molto tempo da dedicarmi. Così lo chiamai e dissi “C’è qualcosa che vorrei mostrarle, qualcosa che credo sia davvero interessante”. Lui disse “Bene, di cosa si tratta?”.
Una vocina nella testa mi urlò:“Per l’amor del cielo, stupido, non dirgli che è un fumetto, ti riappenderà il telefono in faccia!”. Così risposi “È un graphic novel”. E lui “Wow! Sembra interessante!”.
Glielo portai e quando lo vide mi fissò attraverso gli occhiali e sentenziò “Questo è un fumetto, lo porti a un editore più piccolo”, cosa che feci, ma da quel momento il termine “graphic novel” iniziò a prendere piede, per un motivo o per l’altro. Non sapevo se fossi stato o meno l’inventore del termine. A quel tempo pensavo di averlo inventato io e scoprì solo più tardi che un tizio ci aveva pensato qualche anno prima. Lui però non aveva mai usato “graphic novel” con successo e mai come lo intendevo io, ossia per sviluppare quella che credevo fosse la letteratura viva del fumetto
.

A Contract With God fu comunque la prima pubblicazione a presentare la dicitura graphic novel in copertina, anche se vale la pena notare come la sua struttura narrativa contraddica l’idea di romanzo. Pur essendo un volume autoconclusivo infatti, non offre al lettore un’unica novel, ma quattro racconti brevi, incentrati su tematiche “serie” e in parte autobiografiche, ambientate nel quartiere ebreo della New York degli anni Trenta.

Il termine in realtà era nato nel 1964, per opera  dell’editore di riviste e critico Richard Kyle.
Il “tizio” era stato tra i primi a importare e a diffondere in America fumetti europei, trattando in particolare le bandes dessinées francesi: in confronto agli albi locali queste potevano vantare una presentazione editoriale molto più curata e lussuosa, con una copertina rigida che spesso racchiudeva una vasta raccolta di strisce interamente a colori. Per distinguerle inventò dunque una definizione che rendesse subito evidente il loro pregio editoriale e la loro superiorità rispetto ad altri formati.

Il primo, autentico graphic novel americano invece non venne mai chiamato così.
Fu scritto da Justin Green, un artista underground che nel 1972 completò e pubblicò la sua opera più importante: Binky Brown Meets The Holy Virgin Mary. I suoi colleghi e amici, nonché tutti i lettori, riconobbero immediatamente che si trattava di un’innovazione rivoluzionaria: prima di allora nessun autore aveva mai disegnato con tanta franchezza la propria storia personale o i suoi traumi. La vicenda infatti, completamente autobiografica, raccontava i problemi dell’artista nel far convivere, durante la sua adolescenza trascorsa in un istituto religioso, i bisogni e i dubbi sul difficile passaggio tra infanzia e pubertà, vissuto nel conflitto tra il fervore religioso che gli imponeva la scuola e la sua nascente coscienza critica.

Uno dei più entusiasti lettori dell’opera di Green, ancora prima che venisse pubblicata, fu il fumettista Art Spiegelman:

Non dimenticherò mai la vista della pagine inedite di Binky Brown appese a un filo da bucato teso sopra il tavolo da disegno e per tutto il salotto nel 1971 e la sensazione di poter osservare la nascita di qualcosa di nuovo. Quello che le sorelle Bronte fecero per il romanzo gotico, che Tolkien fece per la cappa e spada, Justin lo fece per il fumetto confessionale e autobiografico. Senza Binky Brown non ci sarebbe stato Maus.


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