Vado avanti a tentoni, incespicando, camminando in quella che mi pare essere una eternità caotica e senza forma. Non ho percezione del tempo che passa, senza riferimenti visivi è come non esistere. Mi struggo, nella paura e nella disperazione e quando il mio io cede alla rassegnazione, mi accascio a terra e allora sento, come foglie di sottobosco umide, il fruscio di un terreno reale, e la nebbia comincia a lasciare qualche sprazzo di confuso panorama.
Di fronte a me un ponte. Ma dove porta? Su cosa è sospeso? Cosa c'è al di là? Mi siedo al suo limitare, sotto il ponte nebbia, intorno nebbia, la mia vista scorge solo pochi metri avanti, un tratto del ponte che penetra dentro questo grigio muro. Mi par di percepire una voce, una voce che viene da dentro, che mi istiga ad andare avanti, guardo il ponte, forse c'è qualcuno, una sembianza che si confonde con il lattiginoso essere di questo velo nebbioso che copre ogni cosa.
Comincio a percorrere il ponte, scossa dal terrore del vuoto, strizzo gli occhi per mettere a fuoco l'incerta forma che sembra attendermi in quella che credo essere la metà del ponte. Dentro la mia testa risuona sempre più forte quella voce che mi incita, quasi mi frustasse, ad andare avanti, ma cos'è quella voce?
Mi prendo la testa fra le mani, forse sto impazzendo, ma non la posso arginare, ripete continuamente di andare avanti. Voglio gettarmi nel vuoto, e farla finita, ma non riesco a staccare i piedi da terra se non per proseguire. Cedo, non ho più la forza di contrastare quella voce, chiudo gli occhi e disarmata, lascio che quella voce sia la mia guida. All'improvviso un lieve tepore, socchiudo le palpebre, mi ritrovo nel mio mondo, niente più nebbia, solo in lontananza quella voce: "Sono la voce del "vedere", hai assaggiato l'ignoto!"