Alla fine di ogni anno il CENSIS pubblica una relazione che evidenzia lo stato di avanzamento della società. È l'occasione per analizzare non solo dati statistici, ma soprattutto per fare una riflessione circa l'orientamento dello stile di vita della massa, che include tendenze, modalità e prospettive. Nel corso della presentazione del lavoro annuale, ho avuto modo di apprezzare l'intervento di Giuseppe De Rita(1), Presidente del CENSIS. Egli evidenzia come la società abbia sostanzialmente resistito ai mesi più drammatici della crisi seppure con una «evidente fatica del vivere e con dolorose emarginazioni occupazionali» e come, al di là dei fenomeni congiunturali economici e politico-istituzionali dell’anno, occorra una verifica di come si è trasformata la società italiana nelle sue fibre più intime. Infatti sorge il dubbio che, anche se ripartisse la marcia dello sviluppo, la nostra società non avrebbe lo spessore e il vigore adeguati alle sfide che occorre affrontare, poiché sono purtroppo carenti i valori di fondo che garantiscono la solidità necessaria per affrontare le sfide più difficili in tutti i contesti (politico, economico, sanitario, familiare, ecc.). In questo senso, De Rita descrive una società appiattita, in cui sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali, sia di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro. Si sono appiattiti o addirittura assopiti i riferimenti più alti e nobili, soppiantati dalla delusione per gli esiti dell'economia di mercato, dei falsi modelli indotti dalla potenza mediatica e da chi governa lo Stato. Una società appiattita fa franare verso il basso anche il vigore, l'ardore dei soggetti presenti in essa. La società sta di fatto cavalcando un’onda di pulsioni sregolate: non si riesce più ad individuare un riferimento assoluto (etico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori. Si afferma così una «diffusa e inquietante s-regolazione pulsionale», con comportamenti individuali che trovano il loro fondamento nell'egoismo, nell'autoaffermazione, nel prevaricare e nell'apparire.
ye hi samsparsha-ja bhoga
duhkha-yonaya eva te
ady-antavantah kaunteya
na teshu ramate budhah
“Le percezioni sensoriali sono in realtà fonte di sofferenza. Gli apparenti piaceri che producono hanno un inizio ed una fine, perciò il risvegliato non se ne compiace.” (Bhagavad Gita V.22).
Così, all’inconscio manca oggi la materia prima su cui lavorare, cioè il desiderio autentico, quello che i rishi chiamavano “ardore”, quel “tepore” interiore che spinge verso l'alto, verso le vette luminose della coscienza e che si ottiene attraverso il rendere sacro l'agire nel mondo (yajna), mediante la coerenza etica e l'ascesi (tapas). Al tempo stesso, la svalutazione degli ideali più elevati e delle figure di riferimento archetipali, rende labili i riferimenti all'autorità (del padre, della guida spirituale, della stessa coscienza). «Si vive senza norma, quasi senza individuabili confini della normalità, per cui tutto nella mente dei singoli è aleatorio vagabondaggio, non capace di riferirsi ad un solido basamento». Di fronte ai duri problemi attuali, viene meno la fiducia nella nostra società nel suo insieme e nelle strutture che essa offre. Infatti, di fronte ai problemi di natura esistenziale, appare sempre più improbabile che si possa contare sulle competenze della classe dirigente, sulle leadership partitiche o su un rinnovato impegno degli apparati pubblici. Nella crisi che stiamo attraversando c’è quindi bisogno di messaggi autentici che diano alla coscienza stimoli per evolvere. Occorre in particolare essere capaci di tornare a “desiderare” nel suo significato più vero. «Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo [falsamente] appagata e appiattita».
(1) Autore, laddove non si fornisca altra indicazione, di tutte le citazioni riportate tra virgolette, del presente articolo.