La neotrasformazione passiva: il berlusconismo

Creato il 12 gennaio 2011 da Bruno Corino @CorinoBruno


Credere, consumare, comunicare
In un lontano convegno di Cagliari del 1967 sul tema Gramsci e la cultura contemporanea, il sociologo Alessandro Pizzorno ricordava come la nozione di “crisi organica” fosse l’elemento più interessante della teoria politica di Gramsci. Si diceva sorpreso che non fosse stata fino a quel momento oggetto di approfondimento nella sterminata letteratura gramsciana. Una crisi organica può dar luogo a una trasformazione "attiva" o progressiva in grado di far avanzare tutti i ceti sociali, oppure a una trasformazione passiva, nel corso della quale assistiamo a un arretramento complessivo dell'intero corpo sociale.
Le crisi si possono risolvere mediante una svolta autoritaria, e in tal caso avremo:
1) una trasformazione del ceto politico e burocratico, che oltre ad esercitare un dominio politico eserciterà anche una direzione ideologica (un’“egemonia”), la qual cosa, anche se risulta essere un’emanazione organica del blocco sociale dominante, costituisce comunque una novità rispetto al passato;
oppure in
2) un rafforzamento del dominio politico, senza direzione ideologica (cioè senza “egemonia”).
Per Gramsci, soltanto la prima delle due soluzioni costituisce una forma di “rivoluzione passiva”, nella quale la priorità è data alla combinazione dell’elemento politico e di quello ideologico. Nell’altro caso, invece, avremo soltanto una soluzione politico-militare della crisi, che sfocia in un regime autoritario che non si preoccupa affatto di costruire una base di consenso. Le due forme di soluzioni autoritarie possiamo entrambe qualificarle come “reazionarie”, se con questo termine si vuole indicare un’involuzione rispetto alle conquiste sociali realizzate al presente. Tuttavia, mentre la prima aspira a creare una base di consenso, la seconda non si preoccupa affatto di avere un consenso.
Una “crisi organica” può anche essere risolta attraverso una ristrutturazione delle forze di produzione, che, sebbene lasci inalterati i rapporti di produzione, tuttavia ne altera la composizione di classe, rivalutando le classi produttive a discapito di quelle parassitarie. Anche in questo caso avremo una forma di “rivoluzione passiva”, con la differenza rispetto all’altra che l’elemento di novità non è costituito dal livello politico-ideologico, bensì da quello economico: la rivoluzione passiva di carattere politico-ideologico punta sulla rivalutazione della classe media e “parassitaria”, la seconda forma, invece, di carattere economico, punta sulla composizione delle classi produttive. Nel nostro secolo, le due forme di “rivoluzioni passive” che si sono contemporaneamente verificate sotto gli occhi di Gramsci sono state rispettivamente il “fascismo” e il “fordismo”.
Ora, osservando la storia attuale, è possibile riadattare il linguaggio gramsciano alla situazione politica come si è venuta configurando negli ultimi quindici anni, e parlare del “berlusconismo” come una forma contemporanea di “trasformazione passiva” della società. Possiamo qualificare il "berlusconismo" come una combinazione delle due forme di rivoluzione passiva individuate da Gramsci, ossia una combinazione di elementi autoritari e dirigistici (tipici del fascismo) con elementi "consumistici" e "pragmatici" tipici del "fordismo". Possiamo combinare questi tratti in questo modo:
1) la concentrazione del potere economico, mediatico e politico; come nel modello fordista, la fabbrica diventa il luogo di integrazione totale del lavoro, così il berlusconismo diventa un modo per integrare il cittadino in ogni suo momento della attività quotidiana (come consumatore di prodotti, come telespettatore, come elettore);
2) una rappresentazione trasversale di ceti sociali, che dai cosiddetti ceti “marginali” (casalinghe, pensionati, disoccupati) arriva fino ai ceti più produttivi (il cosiddetto popolo delle partite iva). Questo elemento lo accomuna più al fascismo che al fordismo: la prossima mossa di chiamare il proprio partito "Italia" va in questa direzione. D'ora in avanti chi è antiberlusconiano sarà un antitaliano per definizione, così come sotto il fascismo chi era anti- era di conseguenza antitaliano, antipatriottico.
3) una ideologia che ha nel "consumo" la sua forza trainante e consensuale. Questo elemento si differenzia dal fordismo in quanto è privo di una visione keynesiana dell'economia. Il fordismo puntava a un aumento della domanda aggregata dei consumi attraverso un aumento dei redditi. Tuttavia, possiamo notare come il berlusconismo abbia finito con l'equiparare l'elettore al consumatore.
4) un visione autoritaria e dirigistica (o aziendalistica) della politica e della società. Qui la combinazione tra fascismo e fordismo diventa più forte. E abbiamo cosi trovato la sintesi delle tre "C": Credere, Consumare, Comunicare!
5) un approccio "acritico" e superficiale alla complessità dei problemi (risolto spesso in slogans ripetitivi e vuoti); questo elemento a dire il vero proviene più dal mondo della "pubblicità", da cui il berlusconismo trae la sua origine; diciamo che è un elemento autoctono del berlusconismo.
6) una esaltazione degli egoismi e degli interessi individuali a discapito degli interessi collettivi e solidali. Questo elemento proviene da una lettura distorta del "liberismo" economico, un altro tratto originario.
Finora gli studi su questo fenomeno si sono concentrati più sul “personaggio” politico, e hanno trascurato di mettere in rilievo i tratti che contraddistinguono questo fenomeno politico-sociale. Il berlusconismo infatti non si racchiude soltanto in una formula politica, ma abbraccia un'intera concezione del vivere sociale. Se non si comprende questa duplice funzione non si capirà neanche il potere d'attrazione che questo fenomeno ha saputo esercitare sia sul corpo elettorale quanto sui stessi ceti politici, e quindi non si comprende neanche la ragione del perché tanti ceti sociali l’hanno sostenuto negli ultimi quindici anni. Il fenomeno, a mio parere, ancora non viene preso sul serio, e ci si limita ad analizzare il "personaggio" e non il fenomeno. Forse perché siamo ancora troppo coinvolti per analizzarlo con il giusto distacco. Allora ci si perde nei dettagli, e non si guarda alla sostanza delle cose. E, purtroppo, non ci rende conto che un tipo di analisi del genere (focalizzata sul personaggio) è perfettamente e paradossalmente funzionale propria alla sua ideologia.
Mi sembra che tutte le riflessioni che si hanno sul fenomeno siano focalizzate soprattutto sui meccanismi che spiegano il suo consenso, trascurando le reali forze che lo hanno di fatto realizzato. In un altro saggio (Il consumo come veicolo di consenso) ho cercato di mettere in evidenza quale fosse la chiave del successo politico della proposta berlusconiana. In un paese in cui la domanda di consumo è radicalmente cambiata e trasformata, mi sembrava evidente che a questa domanda fosse più capace di rispondere (non di dico di soddisfare) uno stile di vita consumistico, così come veniva profilandosi nella ideologia berlusconiana, anziché una qualsiasi altra proposta politica. Anzitutto, perché senza dubbio riusciva a incarnarla e ad esprimerla meglio rispetto ad ogni altra. E poi perché era più organica allo stile di vita propinato dalle tv commerciali. Proprio in ragione di questa ideologia si giustifica e si legittima la crepa sociale che divide il tessuto sociale tra i grandi detentori di ricchezza e il resto del paese. Il berlusconismo come “trasformazione passiva” ha tentato, e finora bisogna dire che c’è anche riuscito, a saldare e a tenere insieme il forte divario sociale che si è creato nel paese tra i grandi detentori di ricchezza e i ceti più poveri ed emarginati. Questa saldatura non è dovuta, come talvolta si crede, al “miraggio di ricchezza” che il berlusconismo ha saputo suscitare, in alcune fasi della sua storia, ma al “miraggio di ’immobilismo” che ha saputo realmente concretizzare, a quella nuova forma di gattopardismo, insito in ogni italiano, di credere che affinché tutto cambi, nulla deve cambiare. Ora però che questo immobilismo sociale sta producendo i suoi effetti negativi, da più parti si prende consapevolezza dei danni sociali che il berlusconismo ha prodotto nel paese. Come stiamo verificando proprio in questi mesi, il berlusconismo è entrato in crisi proprio nel momento in cui la domanda di consumi è cominciata a calare. Tuttavia, aggiungiamo che il "fenomeno" non è destinato a scomparire nel momento in cui il suo "ispiratore" non farà più politica, ma resterà a lungo nelle coscienze degli italiani. La sua trasformazione passiva incederà a fondo nel tessuto sociale italiano. E credo che alla fine sia questo il danno maggiore che farà alla società nel suo complesso.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :