25 gennaio 2013 di Vincenzo D'Aurelio
Pino Aprile, nel suo ultimo lavoro intitolato Mai più terroni (Ed. Piemme, 2012), intravede nello sfruttamento della Rete l’occasione per rilanciare il Sud e decretare, così come recita il sottotitolo del suo libro, la fine della questione meridionale. Il ragionamento dell’autore è semplice e la sua intuizione merita di essere discussa poiché è opinione diffusa quella secondo cui per il Sud sia giunta l’ora dell’agire se è indubitabile la volontà di voler realizzare progetti, idee e speranze.
L’autore afferma – non immediatamente in termini geografici – che non esiste un Sud senza un Nord ovvero non può sussistere una condizione sociale di ricchezza e di sviluppo se non esistesse, contemporaneamente, una di povertà e di sottosviluppo. Qualità, queste ultime, che Pino Aprile afferma essere proprie di quel sud Italia logorato da politiche volutamente squilibrate perché funzionali a relegare il Meridione in uno stato di subordinazione rispetto al Nord dove, quelle stesse politiche, garantiscono floridezza, sviluppo e investimenti. Sostanzialmente, ragionando per grandi linee, il sud è sempre il nord di qualche area molto più a sud e il nord senza il sud diverrebbe il sud di un altro nord salvaguardato, quest’ultimo, da una politica trasversale e garantista d’interessi particolari.
Sicuramente il pensiero di Pino Aprile apre lo spazio a riflessioni profonde ma ciò, specialmente nel caso italiano, non esula il Meridione dalla responsabilità di aver mancato molte occasioni di rilancio e ciò perché, proprio questo Sud, ha spesso surrogato la volontà di cambiamento con la pratica di quella corruzione radicata in un sistema nazionale dove Nord e Sud si affratellano solo per concretare vantaggi personali, clientelismo e “demeritocrazia”. La conseguenza di tutto ciò è sotto gli occhi di tutti: la classe politica, quella che oggi rappresenta il Governo d’Italia, in cui uomini del Sud e uomini del Nord fanno a gara per ottenere il primato dell’ “incoltura” e della demagogia.
La Rete, afferma l’autore, è il “punto zero” dal quale partire per poi procedere sulla strada dello sviluppo e del rilancio economico meridionale. Difatti, aggiunge, per superare il concetto geografico ed il pregiudizio economico verso il Sud, bisogna azzerare i confini e ciò può realizzarsi solo in un luogo dove lo spazio non esiste: la Rete. Il Web, continua l’autore, è anche il luogo dove persone di ogni estrazione sociale, di ogni cultura e da ogni angolo del mondo s’incontrano in una specie di piazza virtuale e, al contempo, democratica. Qui, l’interazione delle idee con le esperienze, che superano ogni confine geografico, genera un’occasione di sviluppo la cui realizzazione è divincolabile da qualunque politica territoriale di subordinazione economica. Nelle parole di Pino Aprile il concetto è quello che «[…] il mondo, senza la rete è un universo einsteniano, la sua misura è la velocità: quanto spazio è percorso nell’unità di tempo. Chi può andare più veloce, coprire distanze maggiori nello stesso tempo è avvantaggiato […]. Con la rete, il nostro mondo diventa quantistico, dalla fisica dei quanti, secondo la quale tutti possono essere ovunque in qualsiasi momento […] è in un mondo quantistico che può non esistere il tempo; esattamente come nel punto zero della Rete» (pp. 54-55). Il Sud, quindi, sfruttando la Rete potrebbe veramente autopromuovere il cambiamento della sua stessa condizione socio-economica.
L’adeguamento del Sud all’ “Era della Rete” sarà del tutto indolore, aggiunge Pino Aprile, e questo perché il Meridione non deve rinunciare alla tutela di nessun interesse economico di tipo industriale al contrario del Nord dove l’industria è il volano di molte economie regionali. Per l’autore, in definitiva, il Sud da questa epoca trarrebbe il massimo beneficio perché, nella Rete, è dal confronto di idee diverse che scaturisce la validità delle stesse calcolata in misura del loro potenziale di sviluppo, occupazione e rivalutazione del territorio e non in virtù di un mero ritorno economico o di privilegio politico-regionale. Il Nord, invece, rimarrebbe arroccato e costretto a difendere le sue industrie in un’era in cui l’industria fondata sulla “catena di montaggio” dovrà obbligatoriamente cedere il passo, se vuole continuare la sua attività, all’innovazione tecnologica e allo sviluppo dell’informatizzazione. Nel punto zero, di conseguenza, anche la stessa Questione Meridionale non avrebbe più significato perché essa esiste in virtù di uno spazio geografico definito e di una economia basata sulla produzione di ricchezza materiale.
La fiducia che l’autore ripone nelle potenzialità della Rete e nello sviluppo delle idee è condivisibile perché la produzione di ricchezza nasce proprio dalle idee ed esse non sono generatrici di una ricchezza potenziale o di una ricchezza virtuale bensì di ricchezza reale poiché, così come succede in molti Paesi, al brain aziendale è riconosciuto un valore importantissimo tanto da qualificarlo come un fattore produttivo strategico. È questo fattore che, in molti casi, incide notevolmente sul valore economico delle aziende ed è sempre questi che determina l’interesse degli imprenditori nello sviluppare investimenti e delocalizzare le proprie imprese dove l’idea, già vincente, ha maggiori possibilità di essere realizzata.
Pino APRILE, Mai più terroni. La fine della Questione Meridionale, Ed. Piemme 2012