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La neurobiologia spiega l’origine del razzismo

Creato il 21 luglio 2013 da Annovigiulia @AnnoviGiulia

Mentre si festeggiano anche i 50 anni dalla dichiarazione di Martin Luther King, in America continuano le polemiche riguardanti l’assoluzione di Zimmerman, che ha ucciso ingiustamente un ragazzo di colore scambiandolo per un delinquente.

I giudici che hanno scagionato Zimmerman erano 6, tutti bianchi tranne 1. Cosa sarebbe successo se la giuria fosse stata composta in un modo più equilibrato?
Probabilmente i giudici avrebbero condannato Zimmerman. Non è una mera supposizione, lo dicono studi scientifici.

Venerdì ho assistito a una conferenza, “Neuroscience of racism” nella quale hanno partecipato il ministro Kyenge, che è stata al centro di recenti attacchi da parte di Calderoli e Elisabeth Phelps, neuroscienziata alla New York University. La Phelps ha dimostrato con uno studio quali meccanismi entrano in atto nel nostro cervello quando vediamo una persona di razza diversa a noi sconosciuta. I bianchi se devono associare una parola buona al volto di un nero non noto tentennano a lungo, mentre ciò non accade per i volti di bianchi o se devono associare una parola negativa a un nero. Perché? Secondo la psicologia sociale è una reazione implicita, che non possiamo controllare e che è derivata dal proprio retaggio culturale e da percezioni ambientali.  L’area del cervello che  risponde quando vediamo un volto è quella delle emozioni, quella che comprende l’amigdala.
 Come fare per evitare che si attivino questi circuiti mentali? Sembra che sia sufficiente farci diventare l’altro più famigliare. Infatti, l’associazione di volti di colore noti, per esmpio attori, con le parole positive non genera alcuna esitazione.
Quindi, una commissione giudicatrice mista, con persone bianche e di colore che entrano in relazione tra loro, sarebbe stata capace di giudicare in modo equo e giusto Zimmerman.

La Kyenge ha concluso l’intervento dicendo che dopo questa lezione ha potuto trarre interessanti spunti sul come orientare le scelte politiche. Sarà la conoscenza tra le differenti culture, il reciproco scambio e arricchimento, a partire dalle scuole, che permetterà di superare i pregiudizi razziali.

Ora resta da chiedersi in quale modo attuare tutto ciò: l’America, con la sua esperienza lunghissima di convivenza tra razze diverse ha ancora elementi da migliorare, ma penso che per molti aspetti sia comunque fonte di spunti interessanti.


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