La noia
La noia nella nostra vita
Mi capita spesso di leggere nei racconti dei miei pazienti, strategie difensive e molto spesso preventive atte ad evitare la noia. Ieri sera ho visto un talk show dove interveniva l’Avvocato Rimini, noto matrimonialista, al quale gli veniva chiesto quali erano le cause più frequenti che portavano al fallimento di un matrimonio; risposta: nell’ottanta per cento dei casi il matrimonio fallisce per noia.
Allora la noia è una cosa seria, fa più danni dei tradimenti e delle liti. La noia è veramente l’inedia che spinge verso la morte del rapporto?
Per la verità abbiamo paura della noia anche quando siamo da soli. Non è solo un sentimento che appassisse i rapporti, è un veleno nella vita quotidiana dalla quale ci difendiamo, scappiamo ma che spesso ci intossica.
D’altra parte, abbiamo ben donde dal difenderci e prevenire dalla noia. Basti pensare che questa è catalogata come accidia, era ed è considerata dal catechismo cattolico come un “peccato capitale” meritevole di mandarci all’inferno per l’eternità. Comunque, da sempre la filosofia ed ultimamente la psicologia e la psicoanalisi si sono interessati della noia, hanno cercato di darne una definizione ma soprattutto una spiegazione epistemologica di un sentimento che evidentemente ha una energia in potenza enorme.
Negli ultimi secoli in ambito filosofico i maggiori contributi sulla noia sono venuti da Kierkegaard ed Heidegger. Come scriveva Franco Rella in “Figure del male”, per Kierkegaard: “la noia si presenta come pietrificazione dei sentimenti. E’ un’eternità senza contenuto, una felicità senza piacere, una profondità superficiale, una sazietà affamata”. E per dar ragione all’Avvocato Rimini, negli scritti giovanili di Kierkegaard dal titolo “Addio mia amata” scriveva: “ m’ annoio, la noia riposa sul nulla che serpeggia per l’ esistenza: infinita e’ la sua vertigine, come quella che nasce a guardare in fondo a un abisso infinito “
Ed Heidegger: “La noia profonda, che come una nebbia silenziosa si raccoglie negli abissi del nostro esistere, accomuna uomini e cose, noi stessi con tutto quanto ci circonda, in una singolare indifferenza. È questa la noia che rivela l’essere nella sua totalità”.
Ma, forse chi ce l’ha descritta vivendola e mostrandocene la drammaticità è stato Leopardi: “Anche il dolore che nasce dalla noia e dal sentimento della vanità delle cose è più tollerabile assai che la stessa noia”. (Zibaldone di pensieri)
Forse oggi il filosofo che maggiormente ci aiuta a capire il pericolo insito nella noia, la sua potenza distruttrice nel nulla, evocando Kierkegaard, è Umberto Galimberti che ci mette in guardia rispetto al grande pericolo: “L’ ospite inquietante” ovvero il nichilismo di Nietzsche. La noia come l’anticamera, la soglia del nichilismo.
Psichiatria e psicoanalisi si sono fatti carico e, da sempre hanno capito il potenziale mortifero presente nella noia. Forse l’apporto maggiore l’ha dato Otto Fenichel che definisce la noia come uno stato nevrotico, una tensione istintuale in cui si fallisce lo scopo: “Il dispiacere della noia non corrisponde ad una mancanza di tensione, ma piuttosto ad un eccitamento il cui scopo è inconscio” e ancora: “Il senso di essere annoiato è molto probabilmente, per lo meno nella sua esagerazione nevrotica, uno stato di eccitazione il cui scopo è represso; qualsiasi cosa la persona possa pensare di fare, è percepita come inadeguata a rilassare la tensione intima. Le persone annoiate cercano di distrarsi, ma di solito non vi riescono perché sono fissate al loro scopo inconscio» Trattato di psicoanalisi (1945), Astrolabio, Roma, 1951
Ho l’impressione però che anche Fenichel se pur più profondamente, descriva dei meccanismi intrapsichici ma non svela il perché della tensione nevrotica a cui fa riferimento. Un suggerimento più diretto, causale ce lo da invece Dante che nel Convivio considera la noia che lui chiama accidia, un “vizio per difetto dell’ira”, (VII canto). Questo da un punto di vista psico-dinamico è molto interessante, va all’essenza, all’inizio, peccato che c’è un errore diagnostico: la negazione dell’aggressività produce depressione non noia, accidia. Ma è evidente che l’intuizione di Dante coglie nel segno. Li dobbiamo cercare e accanto alla pulsione della aggressività troviamo l’altra pulsione: la libido. Ne consegue che:
La noia é un “vizio per difetto dell’ira e dell’eros”.
Non è un caso che Jung individua la noia come passaggio che caratterizza la crisi dell’età di mezzo. Infatti, superata la giovinezza dove le pulsioni venivano avvertite come una energia che poteva distruggere e che bisognava contenere, diventano la ricchezza da fruttare fino a poterla donare senza timore di diventare povero.
La persona che non si annoia è la persona che sa star sola con sé o in mezzo alla folla con la consapevolezza di una ricchezza interna che nessuno potrà depredare e niente la può svotare.
E’ una vocazione, spero per molti. E’ la strada verso la individuazione è la possibilità di neutralizzare la condanna Apocalittica: “Conosco le tue opere: poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca”. (Ap 3,1516).
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