Quando comincio a scrivere, tendo a scrivere molto in fretta.
Raymond Carver
Beato lui, verrebbe da dire. E chi diavolo ci riesce a scrivere in fretta?
Lo so: Carver era costretto a farlo perché per larga parte della sua vita, ha avuto poco tempo. Con due figli, una moglie e il lavoro, più tutto il resto… non puoi permetterti di prendertela comoda. Devi procedere per forza a tamburo battente.
Ma in realtà questa frase è pericolosa perché si presta a rafforzare l’idea che è “Buona la prima”.
In realtà il metodo di lavoro di Carver, e non solo il suo, era di scrivere di getto, lasciare che i racconti si accumulassero nel cassetto. Per riprenderli dopo qualche mese e capire se c’era qualcosa di buono.
Lui parlava di rileggerli con “attenzione e freddezza”. Dopo che le cose:
purtroppo, erano tornate alla “normalità”.
Siccome si tratta di frammenti di interviste, o forse di interventi tratti da qualche suo intervento presso università, o chissà dove, quel termine normalità chiuso tra le virgolette non è chiaro. Ma è considerato da Carver come qualcosa di negativo.
Però, dopo che l’oceano si è chiuso sul Pequod, e l’intero equipaggio della baleniera, compreso il capitano Achab, sono morti, e soltanto Ismaele è sopravvissuto, solo allora torna la normalità. L’oceano ha ripristinato l’ordine. Chi ha cercato di infrangerlo, giace sui suoi fondali.
La parentesi “folle”, dove Achab insegue Moby Dick per darle finalmente la morte, si è aperta, si è chiusa. E si può cominciare a raccontare. È tornata la normalità, purtroppo.
Forse è questo che voleva dire il buon Raymond.