La normativa sulla vigilanza degli alunni

Da Maestro Roberto

Giungono molte richieste di chiarimenti da parte di colleghi sulla normativa relativa alla vigilanza degli alunni.
Proprio ieri l'Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte ha emanato una Circolare che tratta proprio questo tema e, in particolare, la culpa in vigilando e culpa in educando.
Ecco il testo.

Prima di entrare nel merito della materia, occorre evidenziare fin da subito l’esistenza di una  corresponsabilità educativo-formativa dei genitori e della scuola nel processo di crescita del minore. Oltre che sul piano della funzione educativa, la scuola è comunque coinvolta anche ed in modo giuridicamente importante sul terreno dell’obbligo di sorveglianza sui minori nel tempo in cui questi sono ad essa affidati.

Si pensi agli episodi di bullismo e alle frequenti cause intentate dai genitori della “vittima” per chiedere il risarcimento del danno (di natura fisica e psicologica) subito dal figlio durante l’orario scolastico, asserendo che tali danni siano imputabili ad inadeguata attività di vigilanza da parte del personale scolastico. A fronte di tali questioni, ci si domanda come la scuola possa difendersi in questi casi e se il dolo presente in alcune condotte del minore debba risultare imputabile esclusivamente alla scuola per non aver vigilato gli alunni nel momento in cui si è verificata l’azione o se debbano ravvisarsi altre responsabilità. Per rispondere a tali quesiti occorre in primis esaminare le norme giuridiche di riferimento.
Le norme giuridiche di riferimento
L’obbligo di sorveglianza sui minori che grava sul “precettore” trova, come anche quello facente capo ai genitori (di cui al 1° comma dell’art. 2048 c.c.), il proprio fondamento giuridico nel 2° comma dell’art. 2048 c.c., a mente del quale “ I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”. Con riferimento ai genitori, invece, occorre considerare - oltre al 1° comma dell’art. 2048 c.c. ai sensi del quale “Il padre e la madre o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi (..)” - il disposto di cui all’art. 30 Cost. a mente del quale “è dovere e diritto dei genitori (mantenere, istruire ed) educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”, nonché l’art. 147 c.c. che, parimenti, prevede “(..) l’obbligo di (mantenere, istruire ed) educare la prole, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”. Come si può osservare, la funzione educativa della scuola ha un ruolo assolutamente residuale, strumentale alla funzione di istruzione ad essa spettante in via prioritaria e, di fatto, limitata all’attribuzione di un potere disciplinare sugli alunni. L’obbligo di educazione riguarda invece primariamente il rapporto genitore-figlio minorenne e sopravvive all’affidamento a terzi del minore, ponendosi quale obbligo non alternativo, bensì concorrente con quello di vigilanza. Ciò comporta che, accanto all’eventuale culpa in vigilando dell’istituzione scolastica, ben possa ravvisarsi anche una culpa in educando dei genitori. A completamento del quadro normativo occorre poi considerare il profilo processuale. Il 3° comma dell’art. 2048 c.c., in particolare, dispone che “Le persone indicate dai commi precedenti (ovvero i genitori, il tutore e i precettori) sono liberate dalla responsabilità solo se provano di non aver potuto impedire il fatto”. Pertanto la colpa quindi, nel giudizio risarcitorio si presume: la norma tende cioè a privilegiare la tutela del danneggiato (l’alunno che ha subito il danno e per esso, se minorenne, i suoi genitori) facilitando la strada probatoria. Il soggetto tenuto alla vigilanza (il “precettore” quindi l’amministrazione scolastica) è pertanto liberato dalla responsabilità solo se riesce a provare di “non aver potuto impedire il fatto”, cioè di aver adottato quelle azioni che – secondo le circostanze contingenti – apparivano idonee ad evitare il danno. Ciò premesso, pare opportuno richiamare alcune delle situazioni più ricorrenti (prendendo in rassegna alcune pronunce della Cassazione) che afferiscono al delicato rapporto tra la culpa in vigilando e la culpa in educando.
Le pronunce della Cassazione
·   Sul contenuto del dovere genitoriale di educazione: la c.d. “culpa in educando”
Si è già evidenziato come l’obbligo di vigilanza della scuola sia concorrente e non alternativo rispetto a quello di educazione facente capo ai genitori. Quest’ultimo infatti permane e, per così dire, sopravvive all’affidamento a terzi del minore. Sul contenuto di esso in particolare la Suprema Corte statuisce che “il dovere dei genitori di educare i figli minori, la cui violazione è fonte di responsabilità civile ex art. 2048 c.c., non consiste solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti e di presenza accanto ai figli, a fronte di circostanze che essi possono non essere in grado di capire o di affrontare equilibratamente. Proprio con l’avvicinarsi dei figli alla maggiore età - allorché acquisita la capacità di fare del male tanto quanto un adulto, serbando però l’inettitudine a dominare i propri istinti e le altrui offese, che caratterizza l’età immatura - il minore ha particolare bisogno di essere sostenuto, rasserenato ed anche controllato.”. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto sussistere la responsabilità dei genitori per il delitto compiuto dal figlio diciassettenne, ravvisandola non tanto nel “difetto di vigilanza degli stessi, data l’età del figlio, quanto nell’inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore, in termini tali da consentirne l’equilibrato sviluppo psico-emotivo, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale” (Cass. Civ. - sez. III - sent. 28/08/2009 n. 18804). In particolare, “i genitori di un minore autore di un illecito aquiliano sono liberati da responsabilità ove dimostrino di aver impartito al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini, alla sua personalità. A tale fine non rileva il fatto che il figlio sia quasi diciottenne al momento del fatto, in quanto l’art. 2048, comma 1, cod. civ., si riferisce al figlio comunque minorenne verso il quale sussiste il dovere inderogabile ex art. 147 cod. civ. di svolgere una costante opera educativa, onde realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e di protezione della propria e altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito” (Cass. civ. - Sez. III - Sent. 22/04/2009 n. 9556). Nello specifico, “la norma di cui all’art. 2048 cod. civ. configura una ipotesi di responsabilità diretta dei genitori per il fatto illecito commesso dai figli minori (e non già indiretta, od oggettiva, per fatto altrui), poiché, ai fini della sua concreta applicazione, non è sufficiente la semplice commissione del detto illecito, ma è altresì necessaria una condotta (commissiva o, di regola, soltanto omissiva), direttamente ascrivibile ai medesimi, che si caratterizzi per la violazione dei precetti di cui all’art. 147 cod. civ., e rispetto alla quale, in seno alla struttura dualistica dell’illecito, lo stesso fatto del minore, nella sua globalità, rappresenta il correlato evento giuridicamente rilevante. Peraltro “(..) tale responsabilità è configurabile soltanto a titolo di colpa poiché, in caso di condotta dolosa, le conseguenze, penali e civili, risulterebbero diversamente disciplinate, ex artt. 111 e 185 cod. pen. (..)” (Cass. civ. - Sez. III - Sent. 30/04/1997 n. 9815). ·   Sull’onere probatorio gravante sui genitori: la presunzione della culpa in educando Quanto all’onere probatorio – stante l’assunto che “se un minore, capace di intendere e volere, commette un fatto illecito mentre è affidato a persona idonea a vigilarlo e controllarlo, la responsabilità risarcitoria del genitore non viene meno perché persiste la presunzione di "culpa in educando”, fondamento dell’art. 2048 cod. civ., (così Cass. civ. - Sez. III - Sent. 10/10/1996 n. 2606) – la pronuncia della Cass. civ. - Sez. III - Sent. 20/04/2007 n. 9509 evidenzia in particolare come “i genitori di un minore autore di un fatto illecito, al fine dell’esonero dalla loro responsabilità, devono offrire la prova liberatoria richiesta dall’art. 2048 cod. civ. e, cioè, di non aver potuto impedire il fatto. Tale prova si concretizza normalmente nella dimostrazione di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, nonché di aver esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all’età”. Infatti ai sensi dell’art. 2048 cod. civ., “i genitori sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori che abitano con essi, sia per quanto concerne gli illeciti comportamenti che siano frutto di omessa o carente sorveglianza sia con riguardo agli illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell’attività educativa che si manifestino nel mancato rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si trovi ad operare” (Cass. civ. – Sez. III – Sent. 14/03/2008 n. 7050). Nello stessa direzione la Cass. civ. Sez. III - Sent. 20/10/2005 n. 20322 precisa come “la legge pone una presunzione di colpa a carico dei genitori (o degli insegnanti) che può essere vinta non con la prova legislativamente prevista di non aver potuto impedire il fatto (prova negativa), ma con quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, il tutto conforme alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere, all’indole del minore. In particolare la Suprema Corte - conformemente all’orientamento risultante da precedenti pronunce (ex multis Cass. civ. Sez. III – Sent. 26/11/1998 n. 11984) - afferma che tale presunzione di colpa si desume anche dallo stesso comportamento del minore. Infatti “il fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito commesso dai figli, può esser desunto, in mancanza di prova contraria, dalla condotta di questi, in violazione di leggi e regolamenticioè “dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori. Invece non è vero il contrario, ossia che dalle modalità del fatto illecito possa desumersi l’adeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata”.
Conforme anche il tenore della pronuncia della Cass. civ. Sez. III - Sent. 28/03/2001 n. 4481: “la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art. 2048 cod. civ. di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore capace di intendere e di volere si concreta, normalmente, nella dimostrazione, oltre che di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di aver esercitato sullo stesso una vigilanza adeguata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educativa. A tal fine non occorre che i genitori provino la propria costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio - ricadendosi, altrimenti, nell’obbligo di sorveglianza che l’art. 2047 cod. civ. impone ai genitori di minore incapace - quando per l’educazione impartita, per l’età del figlio e per l’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l’ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli per sé e per i terzi”. Si noti poi che – come precisa Cass. civ. Sez. III - Sent. 21/03/2007 n. 6685 il genitore affidatario, esercente la potestà, non può eludere i propri obblighi di vigilanza adducendo la non coabitazione con il minore”. Infatti “la dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto va fornita attraverso la prova di aver esercitato la massima vigilanza sul minore e di esser di fronte ad una condotta episodica che può sfuggire al controllo del genitore”. Non solo: la responsabilità del genitore per il fatto illecito del minore, a norma dell’articolo 2048 cod. civ., non è esclusa neppure da un impedimento del genitore stesso (lontananza o altro) all’esercizio della patria potestà. Infatti “(..) la relativa prova liberatoria, di cui all’ultimo comma dell’art. 2048 cod. civ.” deve consistere “(..) nella dimostrazione, non del mero fatto materiale della lontananza, bensì - in adempimento dell’obbligo imposto ad entrambi i coniugi dall’art. 147 cod. civ. ed indipendentemente, pertanto, dall’esercizio della patria potestà - di avere impartito al minore l’educazione e l’istruzione consone alle proprie condizioni familiari e sociali, vigilando, altresì, sulla sua condotta in misura adeguata all’ambiente, alle abitudini ed al carattere del soggetto. Perciò non basta che il genitore dimostri di non avere potuto materialmente impedire il fatto del figlio, perché commesso fuori della sua presenza o durante la sua lontananza, occorrendo che egli provi di avere svolto, nei riguardi del minore, una vigilanza, in genere, adeguata alla sua età, al suo carattere ed alla sua indole e di avergli impartito un’educazione normalmente idonea, in relazione al suo ambiente, alle sue attitudini ed alla sua personalità, al fine di avviarlo ad una corretta vita di relazione e, quindi, a prevenire un suo comportamento illecito, nonché a correggere quei difetti (come l’imprudenza e la leggerezza) che il fatto del minore ha rivelato (Cass. civ. Sez. III - Sent. 06/12/1986 n. 7247). In ogni caso la responsabilità dei genitori non esclude quella del minore stesso. Infatti “l’art. 2048 cod. civ. postula l’esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale (..) è configurabile la "culpa in educando” e la "culpa in vigilando”, ma “(..) la responsabilità dei genitori o precettori ex art. 2048 cit. viene a concorrere con la responsabilità del minore(Cass. civ. Sez. III - Sent. 26/06/2001 n. 8740). Stante la presunzione di responsabilità in capo ai genitori – così come argomentata – ne segue che “(..) sul danneggiato incombe solo l’onere di provare che il fatto illecito sia stato commesso dal minore ed il danno subito, mentre i genitori, per sottrarsi alla presunzione di responsabilità a loro carico, devono provare di non aver potuto impedire il fatto, (..) fornendo la positiva dimostrazione dell’osservanza dei precetti imposti dall’art. 147 c.c. relativo ai doveri verso i figli, tra i quali quello di educare la prole” (Cass. civ. Sez. III - Sent. 10/08/2004 n. 15419). ·   Sul contenuto del dovere di vigilanza dell’insegnante: la c.d. “culpa in vigilando” Come già accennato, il permanere della culpa in educando in capo ai genitori non esclude la sussistenza della culpa in vigilando attribuibile a chi, nel caso di specie, è tenuto alla vigilanza (in genere l’insegnante). Occorre tuttavia contestualizzare e chiarire il preciso contenuto di tale responsabilità. Secondo un principio più volte enunciato dalla Cassazione (ex multis Cass. civ. Sez. III - Sent. 10/12/1998 n. 12424, Cass. civ. Sez. III - Sent. 23/06/1993 n. 6937, Trib. Milano – Sez. V – Sent. 14/03/2002 n. 3452), infatti, “in tema di responsabilità civile ex art. 2048 cod. civ., il dovere di vigilanza dell’insegnante va commisurato all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto”. In particolare esso “(..) ha carattere relativo e non assoluto, dal momento che occorre correlarne il contenuto e l’esercizio in modo inversamente proporzionale all’età ed al normale grado di maturazione degli alunni; in tal modo, con l’avvicinamento di costoro all’età del pieno discernimento, esso si affievolisce al punto che il suo espletamento non richiede la continua presenza degli insegnanti, purché non manchino le più elementari misure organizzative dirette a mantenere la disciplina tra gli allievi”. In base al principio così formulato, la Cassazione ha confermato la decisione del merito che aveva respinto la richiesta di risarcimento di un allievo quindicenne di un istituto tecnico che, nel corso dell’intervallo ed in assenza di sorveglianza da parte degli insegnanti, aveva riportato lesioni (Cass. civ. Sez. III - Sent.23/06/1993 n. 6937). ·   Sull’onere probatorio gravante sull’insegnante: la presunzione della culpa in vigilando Quanto all’onere probatorio, vige la stessa disciplina prevista per i genitori. Infatti, “l’art. 2048 c.c., dopo aver previsto la responsabilità dei precettori e maestri per i danni cagionati dal fatto illecito dei loro allievi nel tempo in cui sono sottoposti alla loro vigilanza, dispone che tali soggetti sono liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. Peraltro, per vincere la presunzione di responsabilità (..), occorre la dimostrazione di avere esercitato la vigilanza nella misura dovuta, il che presuppone anche l’adozione, in via preventiva, di misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare una situazione di pericolo, nonché la prova dell’imprevedibilità e repentinità, in concreto, dell’azione dannosa” (Cass. civ. Sez. III – Sent. 18/04/2001 n. 5668). L’art. 2048 c.c. pone quindi “ (..) una presunzione di responsabilità a carico dell’insegnante per il fatto illecito dell’allievo collegata all’obbligo di sorveglianza scaturente dall’affidamento e temporalmente dimensionata alla durata di esso” (Cass. civ. Sez. III – Sent. 03/02/1999 n. 916). Nello stesso senso la più recente pronuncia della Cass. civ. Sez. III – Sent. 22/04/2009 n. 9542 (e conformemente anche Cass. civ. Sez. III – Sent. 21/02/2003 n. 2657) a mente della quale “grava sull’insegnante per il fatto illecito dell’allievo non solo la dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo, dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma anche la dimostrazione di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale. In particolare l’amministrazione scolastica non è liberata da responsabilità adducendo la mera natura repentina del movimento dell’alunno che ha provocato l’evento lesivo ma è necessario dimostrare l’avvenuta adozione di misure preventive necessarie a consentire sia la libertà dei movimenti degli allievi, sia l’ordinato svolgimento della lezione”. Nel caso di specie la Suprema Corte aveva ritenuto sussistente la responsabilità degli insegnanti per culpa in vigilando nell’ipotesi in cui un alunno delle scuole medie, durante la lezione di educazione musicale, mentre teneva il flauto tra le labbra e apprestandosi a suonarlo, era stato colpito casualmente da un compagno con una gomitata che gli aveva procurato la rottura di due incisivi. Sulla base dei principi sopra esposti, è stata ritenuta invece assolta la prova liberatoria e perciò insussistente la responsabilità degli insegnanti, e quindi del Ministero dell’istruzione, nell’ipotesi in cui durante una normale esercitazione di pallavolo tra alunni di scuola secondaria di 1° grado nulla lasciava prevedere che due compagni nel corso del gioco si avvicinassero eccessivamente fino a scontrarsi, né veniva provato che un maggior rigore nel dettare le regole organizzative della partita avrebbe impedito l’evento (Trib. Bologna Sez. II – Sent. 10/02/2004 n. 413). Così anche è stata ritenuta superata la presunzione di responsabilità per culpa in vigilando nel caso di una bambina impegnata in un gioco adeguato all’età, in un luogo privo di pericoli ed in presenza dell’insegnante (Trib. Bologna Sez. III – Sent. 13/11/2003 N. 5319). Ugualmente assolta la prova liberatoria nel caso di incidente che si verificava malgrado la vigile presenza dell’insegnante e l’ordinata modalità di effettuazione del rientro degli allievi verso la classe, modalità che evocava un contesto di assoluta normalità e che, ad avviso del giudicante non ha consentito di apprezzare profili di inadeguata sorveglianza e/o di inadeguata percezione di una situazione di possibile rischio da prevenire (Trib. Milano – Sez. X – Sent. 24/02/2003 n. 2287). Per quanto concerne poi l’onere probatorio del danneggiato, esso “si esaurisce nella dimostrazione della circostanza che il danno venga cagionato al minore durante il tempo in cui è sottoposto alla vigilanza del personale scolastico (..)” (Cass. civ. Sez. III – Sent. 10/10/2008 n. 24997 e Cass. civ. Sez. III – Sent. 07/11/2000 n. 14484) “restando indifferente che invochi la responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza o la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie, suggerite dall’ordinaria prudenza, in relazione alle specifiche circostanze di tempo e di luogo, affinché  sia salvaguardata l’incolumità dei discenti minori”. Nel caso di specie la Corte di Cassazione aveva escluso la responsabilità dell’amministrazione scolastica con riguardo al ferimento con arma da fuoco di un minore da parte di un nomade, in quanto avvenuto in un cortile antistante la scuola, non adibito ad esclusivo uso della stessa ed accessibile da terzi per il parcheggio di autoveicoli, atteso inoltre che era stato accertato che l’alunno ferito aveva deliberatamente deciso di non entrare a scuola alla prima ora, ma di allontanarsi dal cortile per recarsi in un vicino bar (Cass. civ. Sez. III – Sent. 04/02/2005 n. 2272). · Sul possibile concorso di colpa tra genitori ed insegnanti I casi richiamati ci danno la misura dei limiti dell’obbligo di sorveglianza. Infatti, come ampiamente argomentato, non tutti i fatti illeciti del minore sono astrattamente riferibili solo all’obbligo di vigilanza. Vi sono comportamenti che, per loro natura, appaiono avere radici ben più lontane e profonde rispetto al momento del loro concreto accadimento. L’uso, talvolta reiterato, di violenza da parte del minore e condotte che attestano l’incapacità o la difficoltà del minore di percepire il disvalore sociale del proprio comportamento rappresentano molto di più che il risultato di una semplice distrazione del docente in classe. Percosse, violenza fisica o psicologica, scherno e derisione sprezzante verso compagni più svantaggiati o “diversi”, danneggiamento di beni, uso illecito e abuso dei video-cellulari, ecc.. sono ictu oculi ben diversi ontologicamente dalla violazione di una regola di gioco in una partita di calcetto o dalla gomitata involontaria durante un esercizio ginnico. Simili fatti possono certamente derivare hic et nunc da un’omissione di vigilanza del personale scolastico, ma possono farsi altresì risalire – congiuntamente o alternativamente, a seconda dei casi – all’omissione, da parte dei genitori, di un’efficace educazione. In tali ipotesi, alla responsabilità della scuola per culpa in vigilando si affianca – fino eventualmente a sostituirla integralmente – la responsabilità dei genitori per culpa in educando. La giurisprudenza, come abbiamo visto, conferma l’astratta possibilità del concorso di colpa tra il soggetto tenuto all’educazione del minore (generalmente i genitori) ed il diverso soggetto tenuto a vigilare lo stesso (di regola gli insegnanti). Infatti “nel procedimento di responsabilità civile promosso per il risarcimento dei danni cagionati dall’allievo minorenne ad un compagno nel corso di una lezione, possono essere convenuti in giudizio sia i genitori dell’autore del danno, a titolo di "culpa in educando” ex art. 2048 comma 1 c.c., sia il Ministero della pubblica istruzione per il fatto dannoso del dipendente responsabile a titolo di "culpa in vigilando” (..) di talché i convenuti rispondono in via solidale ex art. 2055 c.c. del fatto illecito del minore (..)” (Cass. civ. Sez. III – Sent. 21/09/2000 n. 12501). Parallelamente è stato ritenuto imputabile a culpa in educando dei genitori e concorrentemente a culpa in vigilando della scuola il danno provocato da un minore che, uscito dall’edificio scolastico durante l’orario di lezione, aveva investito un passante guidando il ciclomotore di un compagno senza avere il “patentino”, malgrado la scuola fosse riuscita a provare in giudizio che ciò era vietato e che vi fosse un controllo alle uscite per garantire il rispetto del divieto (Cass. civ. Sez. III – Sent..26/11/1998 n. 11984 già citata). Da quanto sopra esposto emerge pertanto che nelle azioni intentate contro l’amministrazione scolastica per episodi di violenza o molestia posti in essere da alunni a scuola - quale che sia il possibile rilievo penale dei comportamenti ed a prescindere dall’eventuale intervento del Tribunale dei minorenni - l’amministrazione potrà nel giudizio civile affermare la concorrente o esclusiva responsabilità dei genitori dell’alunno autore delle condotte contestate chiamando in causa gli stessi, ove non già presenti per volontà del danneggiato, per culpa in educando.
·   Sulla natura della responsabilità, sul danno cagionato dall’alunno a se stesso e sull’esclusione della legittimazione attiva degli insegnanti statali Un approfondimento merita anche la natura della responsabilità (ed il conseguente regime probatorio), la quale muta a seconda che il danno sia cagionato dall’allievo ad un compagno oppure a se stesso. Copiosa e univoca la giurisprudenza sul punto che affronta la questione correlata della legittimazione passiva degli insegnanti statali statuendone la indiscutibile esclusione. Una prima importante pronuncia in merito è stata quella a Sezioni Unite civili Cass. – Sent. 27/06/2002 n. 9346 la quale asserisce che “non è invocabile la presunzione di responsabilità posta dall’art. 2048, comma 2, nei confronti dei precettori al fine di ottenere il risarcimento dei danni che l’allievo abbia procurato a se stesso. Nel caso di danno arrecato dall’allievo a se stesso la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante è di natura contrattuale, con conseguente applicazione del regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c.”. Peraltro la Suprema Corte statuisce con estrema chiarezza che “l’art. 61, comma 2 della L. n. 312/1980 esclude in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da culpa in vigilando; in tali cause unico legittimato passivo è il Ministero della Pubblica Istruzione. E poiché la norma in esame non pone distinzioni circa il titolo contrattuale o extracontrattuale dell’azione risarcitoria, la legittimazione passiva dell’insegnante è esclusa non solo nel caso di azione per danni arrecati da un alunno ad altro alunno (nella quale sia invocata, nell’ambito di una azione di responsabilità extracontrattuale, la presunzione di cui all’art. 2048, comma 2 c.c.), ma anche nell’ipotesi di danni arrecati dall’allievo a se stesso (ipotesi da far valere secondo i principi della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.).
In entrambi i casi, qualora l’Amministrazione sia condannata a risarcire il danno al terzo, l’insegnante sarà successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto nel caso in cui sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave”.
Univoca anche la giurisprudenza successiva (Cass. civ. Sez. III – Sent..03/03/2010 n. 5067; Cass. civ. Sez. III – Sent..18/11/2005 n. 24456; Cass. civ. Sez. III – Sent. 11/11/2003 n. 16947; Cass. civ. Sez. III – Sent. 27/05/2003 n. 8397; Cass. civ. Sez. III – Sent. 11/12/2002 n. 17620) che aggiunge alcune precisazioni rilevanti chiarendo che all’atto dell’iscrizione dell’alunno a scuola si instaura tra lo stesso e l’istituto scolastico un vincolo negoziale e che tra insegnante e allievo si instaura altresì, per contatto sociale, un rapporto giuridico. In capo ad entrambi (scuola e docente) sorge l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo. La Cassazione, infatti, precisa che “nel caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che - quanto all’istituto scolastico – l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione (di mezzi) di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso; e che - quanto al precettore dipendente dell’istituto scolastico - tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cod. civ., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante”. Le medesime pronunce evidenziano infine che “qualora l’Amministrazione sia condannata a risarcire il danno al terzo o all’alunno autodanneggiatosi, l’insegnante è successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto ove sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave, limite quest’ultimo operante verso l’Amministrazione ma non verso i terzi”. ·   In conclusione I casi richiamati e i relativi arresti giurisprudenziali permettono di cogliere con chiarezza come nel processo di crescita del minore assuma rilievo una vera e propria corresponsabilità educativo-formativa dei genitori e della scuola, i quali sono chiamati non solo ad una indispensabile attività di vigilanza e controllo, ma anche e soprattutto ad una comunicazione e collaborazione reciproca e costante che consenta nel modo migliore di perseguire e conseguire congiuntamente i comuni obiettivi educativi. Gli strumenti certamente non mancano: si pensi al patto educativo di corresponsabilità (art. 5 bis dello Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria di cui al D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, adottato anche dalla scuola primaria come strumento volontario di autoregolamentazione) il cui scopo è proprio quello di impegnare le famiglie, fin dal momento dell’iscrizione, a condividere con la scuola i nuclei fondanti dell’azione educativa. Infatti - come autorevolmente affermato dall’On. Gelmini nella nota prot. n. 3602/P0 del 31/07/2008 “la scuola dell’autonomia può svolgere efficacemente la sua funzione educativa soltanto se è in grado di instaurare una sinergia virtuosa, oltre che con il territorio, tra i soggetti che compongono la comunità scolastica: il dirigente scolastico, il personale della scuola, i docenti, gli studenti ed i genitori. L’introduzione del patto di corresponsabilità è orientata a porre in evidenza il ruolo strategico che può essere svolto dalle famiglie nell’ambito di un’alleanza educativa che coinvolga la scuola, gli studenti ed i loro genitori ciascuno secondo i rispettivi ruoli e responsabilità”. Il presente lavoro è stato condiviso con le associazioni dei genitori partecipanti al FORAGS Piemonte, che hanno espresso il loro apprezzamento e auspicano che in futuro possano realizzarsi ulteriori collaborazioni, con la finalità di creare le condizioni affinché la scuola possa rappresentare il punto di convergenza delle energie di studenti, genitori e personale docente, educativo e ausiliario in un percorso di crescita e maturazione.


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