Leggere La nostalgia felice di ritorno da un felice periodo di permanenza a Parigi è stata una delle cose più azzeccate che potessero capitarmi. Non tanto perché quando si tratta di Amélie Nothomb (che, tra l’altro, ho potuto conoscere di persona proprio durante il mio soggiorno all’estero) mi trasformo in un’adolescente alle prese con uno dei suoi idoli, ma proprio per il significato profondo di quest’ultimo lavoro della scrittrice belga.
Voglio essere schietta: sebbene quasi tutta la fortunata produzione nothombiana sia di matrice autobiografica e anche La nostalgie heureuse non si distacchi dal suo solito modus scribendi, ho trovato questo libro meno riuscito di altri. Manca l’autentica tensione ironica della Nothomb, al punto che solo nelle prime pagine – che di fatto fungono da introduzione – ho avuto l’impressione di rintracciare la vera forza narrativa della scrittrice. Folgorante, difatti, l’incipit: «Tutto ciò che si ama diventa fiction. La mia prima fu il Giappone». Amélie decide di raccontare il suo ultimo viaggio nella terra del cuore, quel Giappone cui non smette di dichiarare il suo amore e che fa da sfondo ai romanzi migliori (Metafisica dei tubi, Stupore e tremori, Né di Eva né di Adamo): fra marzo e aprile 2012, dopo 16 anni, la scrittrice si è recata nel Paese del Sol levante con una troupe televisiva per ripercorrere i luoghi dell’infanzia “tubica” e felice e quelli della mitica giovinezza trascorsa assieme al compagno giapponese Rinri. Il viaggio è diventato un bellissimo documentario, Une vie entre deux Eaux, e La nostalgie heureuse ne rappresenta una sorta di riepilogo.
L’assenza dell’autentica ironia nothombiana cui accennavo, tuttavia, è più che giustificata dalla natura intrinseca di questo “libro di viaggio”: pagine cariche di tensione emotiva raccontano l’incontro con la tata Nishio-san e il fidanzato Rinri. La materia autobiografica cui la Nothomb attinge per questo libro ha un sapore diverso rispetto al solito, perché qui la scrittrice è chiamata a mettere nero su bianco tutte le emozioni che gli incontri con luoghi e persone suscitano nell’intimo del suo animo. Ed è proprio a proposito del concetto di “nostalgia” che ad Amélie si chiarisce la natura del suo amore viscerale per il Giappone: impara a trasformare il termine “nostalgic” (che indica la nostalgia triste, parola inesistente in giapponese) in “natsukashii”, che nella lingua dei cangi «designa la nostalgia felice, l’istante in cui il bel ricordo torna alla memoria e la riempie di dolcezza». È con questa consapevolezza che tutti dovremmo guardare al passato.
Angela Liuzzi
Amélie Nothomb, La nostalgia felice, Voland, 2013