La nostra eterna fascinazione con la fine del mondo

Creato il 09 settembre 2010 da Estropico
Segnalo che il numero di settembre di Scientific American e' dedicato alla nostra "eterna fascinazione con la fine del mondo" (Eternal Fascinations with the End: Why We're Suckers for Stories of Our Own Demise). Riassumo liberamente dall'introduzione allo speciale e aggiungo qualche commento [fra parentesi quadre e in corsivo]: il mondo sta per finire - un'altra volta... Se non sono i Maya, il cui calendario termina nel 2012, e' il Large Hadron Collider, che sta per creare un buco nero che ingoiera' il pianeta. Si potrebbe pensare che le nostre conoscenze scientifiche ci abbiano vaccinato contro le piu' stravaganti ossessioni catastrofiste, ma non e' così. Anzi, piu' scopriamo, piu' sembriamo preoccuparci. Dopo tutto, alcuni dei piu' convincenti catastrofisti sono scienziati. Bill Joy [del quale ho parlato proprio l'altro giorno, sempre a proposito di rischi esistenziali] e' preoccupato dalla possibilita' che futuri nanorobot sfuggano al nostro controllo e Martin Rees ha pubblicamente scommesso che entro il 2020 una catastrofe biologica (naturale o accidentale) uccidera' almeno un milione di persone. Molti climatologi temono il riscaldamento globale. Tutti costoro "stanno sulle spalle di giganti". Thomas Maltus nel 19mo secolo, predisse carestie dovute alla crescita della popolazione che non si avverarono. Paul Ehrlich, nel 1968, rilancio' lo stesso allarme e predisse una carestia globale nel giro di vent'anni. Il fatto che queste catastrofi non si siano verificate significa che non si verificheranno mai? Non necessariamente. Pero' esiste una tendenza a preoccuparsi in maniera sproporzionata circa catastrofi improbabili.
Alcuni ricercatori sono convinti che le paure apocalittiche si basino sulla nostra ansia collettiva circa eventi al di fuori del nostro controllo. La paura della guerra nucleare e del declino ambientale che e' scoppiata negli anni '60 e' stata un fattore importante nella nascita della controcultura di quegli anni, secondo il sociologo John R. Hall, autore di Apocalypse. E in anni piu' recenti, eventi quali l'11 settembre, la crisi finanziaria e la fuoriuscita di petrolio nel golfo del Messico, suggeriscono a sempre piu' gente che la societa' moderna non e' in grado di risolvere i suoi problemi [e il modo sensazionalistico in cui molti notizie sono presentate dai media non aiuta di certo...] La tentazione di interpretare terribili eventi come sintomi di una prossima fine del mondo potrebbe avere radici anche nella vanita'. Siamo tutti convinti di vivere in un momento storico speciale, forse persino cruciale. La tecnologia sta mettendo a nostra disposizione sempre piu' controllo su atomo, genoma e pianeta - con disastrose conseguenze. E immaginare che che proprio noi saremo l'ultima generazione ci fa sentire speciali, secondo lo psicologo Nicholas Christenfeld [e a questo punto non posso non far notare che tutto cio' potrebbe facilmente essere visto come un negativo dell'attititudine di chi aspetta con fede l'arrivo della singolarita' tecnologica...]
Le nostre paure potrebbero anche essere un sintomo della paura piu' fondamentale: la paura della morte. L'essere in un continuo flusso, e' parte della natura dell'universo e il raggiungimento della fine e' un inevitabile, e spesso ignorata, parte della vita [mi chiedo quale sarebbe l'impatto psico-sociologico della sconfitta di vecchiaia e morte sulla societa'. Mi piace sperare che causerebbe un'ondata di ottimismo e confidenza nelle proprie abilita', come specie, ma l'animo umano e' troppo complesso e contradditorio per esserne sicuri...]

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