La nostra Galassia al metal detector

Creato il 04 aprile 2014 da Media Inaf

Rappresentazione artistica della struttura a spirale della Via Lattea (utilizzando le immagini a infrarossi del telescopio spaziale Spitzer). Crediti: NASA.

Passare al metal detector la Via Lattea per scoprire i fossili di un coacervo primordiale da cui la nostra Galassia ha avuto origine.  È l’idea originale che ha avuto un gruppo di ricercatori dell’INAF Osservatorio Astrofisico di Torino e dell’Università degli Studi di Torino, autori del contributo appena pubblicato da ApJ (The Astrophysical Journal – IOPscience) Letters.

“Nello studio viene esaminata l’evoluzione dinamica di un disco Nbody di 10 milioni di particelle in tutto simile alla nostra Galassia”, spiega Anna Curir, dell’INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino e prima firmataria della lettera. Nel modello clone della Via Lattea viene inserito a Tempo Zero, come condizione iniziale, un cocktail chimico opportuno e un gradiente di metallicità che si basa sui modelli di formazione galattica formulati dal gruppo di Francesca Matteucci dell’Università di Trieste e Presidente del Consiglio Scientifico dell’INAF (che si è occupata approfonditamente dei processi di accrezione del gas primordiale che ne forma il disco).

Con metallicità intendiamo la frazione di tutti gli elementi più pesanti dell’elio e che non si trovano nel gas primordiale dell’Universo. “Partendo dalla distribuzione di metallicità iniziale, e la lasciandola evolvere nel nostro modello di disco – prosegue Curir – possiamo verificare come la sua fisionomia globale sia poco modificata dai moti delle stelle per almeno 6 miliardi di anni.  Questo risultato ci permette di spiegare i gradienti chimici recentemente osservati nel disco spesso della Via Lattea come residui fossili del profilo primordiale”.

La Via Lattea e la posizione del nostro Sistema Solare. Il nostro punto di vista sull’Universo.

Un risultato che si inserisce nel vivace dibattito sul perché i gradienti chimici nella Via Lattea locale cambino segno nel passare dal disco sottile al disco spesso.  Le stelle più giovani, fra le quali troviamo anche il nostro Sole, hanno una composizione chimica mediamente più ricca di elementi chimici pesanti se si trovano più vicine al centro della Via Lattea. Viceversa, le stelle più anziane, appartenenti al disco spesso, appaiono povere di elementi chimici pesanti mano a mano che ci avviciniamo al centro della Galassia.

Il modello teorico può darci una spiegazione partendo dai dati archeologici. Se immaginiamo che il centro della Galassia in formazione sia stato teatro di una caduta costante di gas primordiale povero di metalli, allora il gradiente di metallicità delle stelle più vecchie ha una spiegazione semplice: come fossile, appunto. Una specie di impronta chimica primordiale.

Ovviamente lo studio torinese non è l’unico a dar conto dello stato attuale delle cose, e anche altre teorie gareggiano per cercare una spiegazione di ciò che è diventato un vero e proprio rebus: la Galassia che abitiamo.

“I risultati di questo nostro studio teorico potranno essere verificati nel giro di pochi anni, grazie agli importanti progetti europei in corso: la missione spaziale Gaia e la survey da terra GES e, in futuro, WEAVE”, spiega Alessandro Spagna, ricercatore del gruppo di astrometria dell’INAF Osservatorio Astrofisico di Torino e che per Gaia sta seguendo le operazioni di raccolta e ordinamento delle osservazioni.

Il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea, lanciata lo scorso 19 dicembre dalla base europea di Kourou (Guiana Francese) con il vettore Soyuz-Fregat, darà le misure utili agli scienziati per produrre una mappa tridimensionale della nostra galassia, rivoluzionando con dati senza precedenti il mosaico di informazioni sui processi che ne hanno caratterizzato la formazione e l’evoluzione. Nei 5 anni di missione previsti, Gaia studierà oltre un miliardo di oggetti presenti nella Via Lattea, fornendo misure di posizioni, distanze e movimenti. Per la prima volta potremo misurare direzioni e distanze su scala galattica, la più grande mappa celeste mai realizzata. L’Italia ha nella missione Gaia un ruolo importante coordinato da Mario G. Lattanzi.

La Gaia-ESO Survey spettroscopica eseguita a uno dei quattro telescopi VLT dell’ESO, guidata da Sofia Randich di INAF-Arcetri e Gerry Gilmore (IoA, Cambridge), ci sta invece fornendo i dati chimici della Galassia che abitiamo. Nei suoi primi due anni di osservazioni la Survey GES ha già collezionato più di 5000 spettri stellari ad alta risoluzione.

Mappa stellare e tavola periodica alla mano a breve ne sapremo di più. La cosmologia locale, grazie all’archeologia stellare fornita da Gaia e GES, ci dirà molto sui processi di formazione della Galassia. Come nei migliori racconti: to be continued

Per saperne di più:

Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga


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