La nostra solitudine

Creato il 05 febbraio 2011 da Gadilu

Si tratta di un’occasione o di un’occasione persa? Ecco l’oscillazione che fa tribolare. Analizzando i commenti letti e ascoltati dopo il forte scossone causato dall’accordo Bondi-Svp sul trattamento dei cosiddetti “relitti fascisti”, il “luccichio d’arena bagnata che si ritira veloce” (Italo Calvino, Palomar) in seguito al distendersi dell’onda ci ha lasciato con questa domanda a fior di labbra. Sarebbe utile trovare una risposta, prima che sopraggiunga una nuova ondata.

Ma cos’è che luccica? Innanzitutto la solitudine degli altoatesini. Che nessuno si curasse di noi, dei nostri “interessi”, in un Paese sempre più lontano, era fin qui una percezione indistinta. Adesso è diventata molto più chiara. Il fatto che una tale acquisizione sia arrivata per “merito” di un governo di destra, cioè da parte di chi, in teoria, avrebbe dovuto contrastare e confutare questo sospetto, ne costituisce il sigillo definitivo. Il punto è: dobbiamo rammaricarcene?

Penso di no. Anzi, è bene che distilliamo in fretta la ricetta contenuta nel verso di un grande poeta tedesco: là dov’è il pericolo cresce anche ciò che salva. Che gli italiani, noi italiani del Südtirol fossimo soli non sarebbe stato difficile scoprirlo per tempo. Ma la tendenza a non riuscire a prenderne davvero coscienza – come si vede dall’incapacità di cercare un possibile riscatto – si è sempre imposta sui rari barlumi di autoconsapevolezza. Anche la difficoltà a fare i conti col nostro passato di colonizzatori (verità scomoda, sicuramente neppure “tutta” la verità, comunque caratterizzante almeno l’origine della nostra più cospicua presenza in questa terra) è frutto di un prolungato autoinganno. Se non disattiviamo la percezione che ci vorrebbe prigionieri del cono d’ombra gettato da simboli nefasti, se reagiamo persino nel modo peggiore, con offesa fierezza (l’ha fatto l’ex sindaco di Bolzano, Giovanni Benussi), continueremo a condannarci a prendere lezioni da altri. Una situazione francamente non più sostenibile.

Rivendicare il diritto di esistere, mostrando con coraggio alcune radici infette, questo ci manca. Non subire più l’attribuzione di colpe innegabili, ma farcene carico in prima persona e proporre una via d’uscita che tracci innanzitutto un confine netto e duraturo tra noi e l’ambiguità nella quale abbiamo creduto di poterci nascondere. Da una parte insomma la storia, ciò che è stato, e dall’altra l’identità, ciò che è in costante divenire. A quel punto persino il Duce e il suo cavallo potrebbero rimanere là dove sono (oppure meglio, come sembra, indietreggiare coperti da un velo). Ma occorrono idee. Idee buone. Idee nostre.

Corriere dell’Alto Adige, 5 febbraio 2011



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