La nostra vita

Creato il 10 ottobre 2010 da Alboino

Al di là della Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes per l’interpretazione di Elio Germano (e anche in questo caso rimango un po’ perplesso poiché ci sono state interpretazioni migliori di questo promettente attore italiano) secondo me “La nostra vita” pur essendo un film altamente interessante tradisce le aspettative. Intendiamoci l’opera di Daniele Luchetti è meritoria per il soggetto e i temi che vengono trattati, lascia a desiderare invece per come il film è stato girato (è di una lentezza incredibile, al limite della sopportazione) e per come le varie vicissitudini si susseguono.
Intanto il precariato diventato ormai una piaga nell’Italia del lavoro e il lavoro stesso da svolgere in fretta senza badare alle particolarità dove l’importante è fare guadagno. E’ il tema portante di tutto il film su cui poi si innestano problematiche di stretta attualità: la famiglia e il ruolo dei genitori spesso chiamati a sopperire all’assenza dello Stato (asili nido, assistenza alle famiglie bisognose, orario prolungato nelle scuole); la cassa integrazione che a seconda dell’angolo visivo può essere un bene (almeno c’è qualcuno che può tenere i bambini) o un male; il prolungarsi dell’età in cui i giovani vanno via di casa e si sposano (qui il bravissimo e bellissimo- spesso sottolineato anche nel film - Raoul Bova scapolone di turno che alla fine troverà l’anima gemella in una rumena dal cuore d’oro); le morti bianche: tante, tantissime che oggigiorno si susseguono sui cantieri e infine il dramma dell’immigrazione (clandestina) e del razzismo latente che serpeggia negli animi degli italiani. Tutti temi presenti in questo film che segna una sorta di rinascita del neo-realismo all’italiana dove finalmente non si racconta l’Italia dei vacanzieri alla Vanzina (una Italia fasulla e inesistente), ma l’Italia vera, quella che si vende gli ori di famiglia per pagare il mutuo, che compra le macchine a rate, che vive di centri commerciali pregni di gente povera che cerca disperatamente di assomigliare alle famiglie felici della pubblicità. E’ l’Italia diversamente raccontata da quella del nostro ottimista presidente del consiglio, un Paese fatto di un quotidiano doloroso dai comportamenti ambigui e contraddittori dove solo l’umana dignità riesce a resistere alle peggiori derive sociali.
Lucchetti non ha peli sulla lingua nel rappresentare la Nazione come un coagulo di disonestà e illegalità dove la scorciatoia per il successo sembra essere l’unica via percorribile ribattendo al ministro della cultura (?) Biondi che nei giorni della presentazione del film a Cannes aveva sentenziato sull’organo di regime Il Giornale, che il nostro cinema, tutto, è «pieno di pessimismo e di mestizia, incapace di raccontare grandi storie e grandi uomini, sempre alle prese con l’infelicità e le recriminazioni di un’Italia che viene rappresentata solo con il luogo della volgarità e della bruttura e del latrocinio» e se possibile ancor più nefasta è stata la dichiarazione del sottosegretario Francesco Giro per il quale “nel cinema italiano si fanno solo film intimisti, fragili, stupidi e recitati male”.
Il film sotto l’aspetto narrativo è intenso, toccante con qualche fuga in avanti ma certamente anti convenzionale; lo stesso Lucchetti ammette “diciamo la verità, chi di noi non ha riverniciato o sistemato casa rigorosamente “in nero”, evitando fatture per risparmiare quattrini? Il protagonista del mio film lo fa perché l’intero Paese lo fa”. Già “La nostra vita” è questo: è la storia di un operaio edile trentenne (il premiato Elio Germano) che vive nella periferia romana in uno di quei quartieri satelliti che oggi differiscono completamente da quelli raccontati da Pasolini. Ha una passione per Vasco Rossi che segna la stessa filosofia del protagonista con il brano “Anima fragile” e vive felicemente la propria esistenza con la moglie (Isabella Ragonese) in attesa di dargli il terzo figlio. Una vita tranquilla, complice, piena, senza affanni, fatta di serate davanti alla tv o sabati nei centri commerciali. Quando lei muore in sala parto, la vita crolla addosso all’uomo. Incapace di reagire, di stringersi attorno ai figli, sposta il dolore verso la direzione sbagliata: fare quattrini, soddisfare ogni capriccio dei figli, cacciandosi in un’impresa troppo grande per lui. Comincia in questo modo una sorta di discesa agli inferi del protagonista: i figli sbattuti dalla sorella a una amica per avere tempo a disposizione e improvvisarsi piccolo padroncino, prendere con la forza del ricatto in sub-appalto la costruzione di una palazzina e finire col trovarsi nei guai con gli operai immigrati e professionalmente inadeguati. Per rispettare i tempi di consegna (molto stretti!!!) si rivolge all’amico pusher su sedia a rotelle (uno strepitoso e irriconoscibile Luca Zingaretti) ma anche questo non basta e alla fine è costretto a rivolgersi ai carpentieri italiani super specializzati quindi molto costosi (tutti viaggiano in Mercedes) per salvare la situazione prima del disastro definitivo. Ci riuscirà al costo però di perdere quel sogno di grandezza che per un certo periodo aveva coltivato e ritrovarsi a cominciare tutto daccapo.
Sostiene Luchetti: “La nostra vita è un film allo stesso tempo furioso e vitale. Stavolta mi sono preoccupato meno di alleggerire toni, non ho usato trucchetti per compiacere il pubblico, volevo raccontare l’Italia attraverso lo sguardo di un personaggio non edulcorato, un operaio ambizioso, energico, disonesto. Insomma, il denaro - per acquistare oggetti, prenotare vacanze, esibire un certo status symbol - come antidoto a un dolore rimosso, col quale il giovane proletario non riesce a fare i conti. Più che la storia delle sue difficoltà, è la storia di un Paese intero”, suggerisce Luchetti.

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