La nostra vita, la nostra Italia. C'è una miniatura, una parte della microstoria di questo paese nel nuovo film di Daniele Lucchetti che ha portato alla meritata Palma d'Oro il giovane e bravo Elio Germano. Lucchetti usa come strumento la storia di un aspirante piccolo imprenditore edile romano per dirci di più dell'Italia di oggi, di quella che ha sostituito la piazza del paese o del quartiere con le hall dei centri commerciali, ma che nell'animo forse non è tanto diversa da quella raccontata dai neorealisti sessant'anni fa. I tormenti del giovane papà Germano sembrano quelli del "ladro di biciclette" nel capolavoro di De Sica. Lo sguardo pieno d'amore e fragilità dei figli di generazione 2000, è lo stesso del piccolo che prende la mano del padre fuori lo stadio quando tenta lo sfortunato furto. Chiaramente in Lucchetti tutto è raccontato con modalità diverse e per forza di cose "moderne". Lunghi primi piani del protagonista, contrasti forti, un uso veloce della telecamera ci dicono che sono gli anni 2000, ambiziosi, sfuggenti, un po' più superficiali del laborioso dopoguerra, ma quell'anima di fondo è sempre la stessa.Lucchetti ci dice anche, però, che la piccola Italia, quella appunto dei centri commerciali e delle casse integrazioni, quella dei nomi dei figli ispirati a cultura pop-televisiva, è più avanti della macro Italia, che si perde in discorsi da ideologie superate, che si annulla nei meandri del finto perbenismo, che si vanta di essere benpensante, avida di potere e privilegi. La micro Italia è un luogo dove l'integrazione non è un discorso da aperitivo, ma è la necessaria, quotidiana, voluta realtà. E' un contesto in cui il furbetto ha scrupoli e una coscienza che non gli permette di arrivare a capo "del quartierino", al massimo si ferma ad una palazzina. Se, poi, i servizi sociali non aiutano un vedovo, il pusher e la ex escort ti danno una mano e la famiglia è la vera rete a cui fare affidamento, che salva l'individuo, e, come un effetto domino, il paese.Insomma un bel film su quello che siamo diventati. Basta un briciolo di sensibilità perchè ognuno, senza distinzioni, possa ritrovarsi in un dettaglio o nelle sfumature dei caratteri dei personaggi. Lucchetti, poi, oltre ad essere un bravo "direttore" di attori (eccellente Germano, ma sorprendente Raul Bova e sdoganato il Commissario Luca Zingaretti Montalbano), costruisce con maestria il film, miscelando sobrietà e momenti forti, commozione e sorrisi dolce amari.
La nostra vita, la nostra Italia. C'è una miniatura, una parte della microstoria di questo paese nel nuovo film di Daniele Lucchetti che ha portato alla meritata Palma d'Oro il giovane e bravo Elio Germano. Lucchetti usa come strumento la storia di un aspirante piccolo imprenditore edile romano per dirci di più dell'Italia di oggi, di quella che ha sostituito la piazza del paese o del quartiere con le hall dei centri commerciali, ma che nell'animo forse non è tanto diversa da quella raccontata dai neorealisti sessant'anni fa. I tormenti del giovane papà Germano sembrano quelli del "ladro di biciclette" nel capolavoro di De Sica. Lo sguardo pieno d'amore e fragilità dei figli di generazione 2000, è lo stesso del piccolo che prende la mano del padre fuori lo stadio quando tenta lo sfortunato furto. Chiaramente in Lucchetti tutto è raccontato con modalità diverse e per forza di cose "moderne". Lunghi primi piani del protagonista, contrasti forti, un uso veloce della telecamera ci dicono che sono gli anni 2000, ambiziosi, sfuggenti, un po' più superficiali del laborioso dopoguerra, ma quell'anima di fondo è sempre la stessa.Lucchetti ci dice anche, però, che la piccola Italia, quella appunto dei centri commerciali e delle casse integrazioni, quella dei nomi dei figli ispirati a cultura pop-televisiva, è più avanti della macro Italia, che si perde in discorsi da ideologie superate, che si annulla nei meandri del finto perbenismo, che si vanta di essere benpensante, avida di potere e privilegi. La micro Italia è un luogo dove l'integrazione non è un discorso da aperitivo, ma è la necessaria, quotidiana, voluta realtà. E' un contesto in cui il furbetto ha scrupoli e una coscienza che non gli permette di arrivare a capo "del quartierino", al massimo si ferma ad una palazzina. Se, poi, i servizi sociali non aiutano un vedovo, il pusher e la ex escort ti danno una mano e la famiglia è la vera rete a cui fare affidamento, che salva l'individuo, e, come un effetto domino, il paese.Insomma un bel film su quello che siamo diventati. Basta un briciolo di sensibilità perchè ognuno, senza distinzioni, possa ritrovarsi in un dettaglio o nelle sfumature dei caratteri dei personaggi. Lucchetti, poi, oltre ad essere un bravo "direttore" di attori (eccellente Germano, ma sorprendente Raul Bova e sdoganato il Commissario Luca Zingaretti Montalbano), costruisce con maestria il film, miscelando sobrietà e momenti forti, commozione e sorrisi dolce amari.
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