Accadde tutto all’improvviso, sembrava un film e divenne un incubo.
Nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, i cittadini di Berlino assistettero increduli a dei lavori in corso che si sarebbero trasformati in una delle pagine più vergognose della storia d’Europa: il muro di Berlino.
Tutto era iniziato con la caduta del nazismo. La città era stata divisa in quattro settori, controllati da Stati Uniti, Unione Sovietica (a cui era stato assegnato il settore più grande), Inghilterra e Francia. All’inizio, la divisione non comporta problemi ma con la guerra fredda tra Est e Ovest la possibilità di circolare liberamente da una zona all’altra si trasforma in qualcosa di sempre più complicato.
Così, complessivamente, tra il 1949 e il 1961, 2,5 milioni di berlinesi passano da Est a Ovest.
Un esodo che imbarazza le autorità orientali.
Che fare?
La soluzione, dittatoriale e dunque ottusa, è di impedire con l’unico mezzo possibile la fuga: costruire un muro, invalicabile per chiunque.
E quella notte vede l’inizio del muro, anzi, del Muro.
Filo spinato, cavalli di frisia, spuntoni, tutto viene utilizzato inizialmente.
Con una velocità e un’improntitudine quasi miracolose, tutte le zone assegnate ai tedeschi dell’est vengono recintate.
Poi, a partire dal giorno 15, arrivano i prefabbricati di pietra e cemento.
Si inizia a costruire il vero muro.
Fino ad allora, ogni giorno, 12.000 berlinesi da Ovest andavano a lavorare nella parte est e 53.000 facevano il percorso inverso.
Ora, è tutto bloccato, o di qui o di là.
E basta.
Ma il muro è vivo, ben più di quanto appaia nella sua orribile architettura.
Le foto dell’epoca mostrano soprattutto lo sconcerto di cittadini che si affacciano dai primi varchi in filo spinato od occhieggiano dai varchi di pezzi di muro per salutare amici e parenti.
Sembra tutto fisso e definitivo, ma non lo è.
Bernauerstrasse è la strada dove avvengono gli scempi maggiori, con case sventrate e famiglie sfrattate: là deve passare il muro e dunque nessuno può più abitarvi.
E là muore la prima persona che tenta la fuga: è Ida Siekman, il 22 agosto, che cerca di saltare dal suo appartamento morendo al suolo dopo la caduta.
Ma passati i primi giorni di sconcerto, paura e delusione, cominciano i tentativi di fuga, i più disperati e i più machiavellici e arditi, con la costruzione di tunnel sotterranei.
Dal 1961 al 1989, per 28 anni, furono scavati 70 tunnel.
Da uno di questi, lungo 130 metri, fuggirono in 57, sbucando in un panificio.
Ma molti, troppi, perirono, nel tentativo di trovare la libertà: 239 persone in quasi trent’anni sono morte nel tentativo di fuggire, 3.221 arrestate dalla Stasi, la polizia segreta della Germania orientale.
Tra i morti, Peter Fechter, muratore di 18 anni, nel 1962.
È la 27esima vittima del muro ma resta nella memoria di tutti berlinesi.
Checkpoint Charlie: poliziotti gli sparano mentre tenta la fuga, lui cade là, ferito in quel tratto di strada terra di nessuno.
E nessuno farà nulla mentre muore dissanguato, tra urla strazianti che tutti sentono per circa un’ora.
I cittadini a ovest implorano i soldati americani di fare qualcosa ma loro non possono muoversi.
Così come i soldati dell’est.
Tutti guardano, chi da una parte e chi da dall’altra, quel ragazzo che urla invano.
Il muro è vivo perchè nel corso dgli anni viene rinforzato, “migliorato”.
In alto, sopra quei tre metri e mezzo, viene posto un tubo di amianto per far scivolare chi tenta di arrampicarsi.
E poi, oltre il muro, nella terra di nessuno, garitte, soldati con i cani, fari, allarmi sonori, fili elettrificati, reti metalliche.
Evadere da Berlino Est è impossibile o quasi.
Ma i tentativi non si fermeranno mai, fino al 9 novembre 1989, quando finalmente si pone fine a una divisione scellerata.
I berlinesi premono sempre più perchè l’abbattimento di quella frontiera sia immediato e la Germania Est deve cedere.
E cede, con l muro.
È l’inizio della fine non solo per la Germania Est, ma per il comunismo sovietico.
(Fonte: yahoo)