La notte dei ricercatori 27 settembre 2013

Creato il 28 settembre 2013 da Webnewsman @lenews1

In sala conferenze, un tendone allestito, appena fuori dalla struttura che ospitava gli stand. Alle 21 si è tenuta la proiezione di un documentario, il fine dichiarato dal regista: non era tanto fare un documentario scientifico, in quanto l’ambiente era un laboratorio di ricerca, ma mettere a fuoco gli aspetti umani e sociali dei ricercatori di laboratorio. Le motivazioni alla ricerca integrate da motivazioni umane. L’uomo è l’unico animale che non si è adattato all’ambiente, ma ha adottato l’ambiente a se stesso. L’esperimento spesso ti dice semaforo rosso o semaforo verde. Primo o poi incontri l’esperimento killer, che è quello che uccide la tua idea. Non c’è solo il tempo che hai dedicato, c’è il tuo cuore, la tua vita. La ricerca comporta un movimento d’informazioni enorme, e a volte i risultati finiscono nel cestino. Per andare avanti, devi avere intorno un po’ di persone speciali. E la comunicazione diventa importantissima.  Un cuore al guinzaglio è il titolo di una conferenza, un tavolo aperto, per mettere in evidenza i problemi legati a un cuore artificiale e ai trapianti. Spesso scelte difficili, situazioni che in ospedale sono analizzate dai chirurghi con gli anestesisti. Uno alternativo all’altro, o un ponte verso l’altro. Spesso non è necessario trapiantare un cuore nuovo, o magari questo cuore nuovo adatto per il paziente non c’è. Allora s’impianta un cuore artificiale, si aggiunge una piccola pompa così la pressione circolatoria è presso che normale. Malgrado impedisca una totale libertà, la quotidianità è il legame con il controllore. Garantisce una qualità della vita buona, se rapportata non a una persona normale, ma a una persona con scompenso. Una giornalista di radio 24 ne fa da moderatore. Un tavolo dove si alternano primari e pazienti. Il concetto di adattamento presuppone un supporto psicologico. Prendere in carico il paziente prima dell’intervento e prepararli. Seguirli nel percorso di adattamento. Dopo l’intervento, con il passare del tempo, nel paziente avviene un decremento dello stress legato a fattori fisici. E prende vita una piccola progettualità. La stanchezza emotiva svanisce nel corso del tempo. Ogni paziente ha un nome per chiamare l’unità esterna, che porta con sé: la macchinetta del caffè, la mia fidanzata. Una ventina di giorni dopo l’intervento, nei due tre mesi di riabilitazione i pazienti ritrovano una qualità della vita. Il paziente deve essere intelligente. Deve tenere un’igiene personale, una dieta per il controllo del peso e degli stili comportamentali che sono fondamentali. Molti pazienti ricevono l’impianto come ponte al trapianto. Vivono molto più a lungo di quanto vivrebbero senza macchina. Parlando con un chirurgo che lavora in Kazakistan, durante l'anno si fanno 40 cuori artificiali e un trapianto. In zone come il Kazakistan non ci sono le condizioni per fare trapianti. Il concetto di ponte al trapianto non è presente. Il cuore che si deve trapiantare deve essere adatto al paziente per giustificarne il rischio. Il limite teorico di età non c’è. Più il paziente è anziano più le condizioni generali devono essere apposto, come per la chirurgia generale. I cardiologi e gli anestesisti si trovano tutte le settimane, per decidere se un paziente seguirà o la strada della macchina o il trapianto. Se ci sono dei tumori, la strada che si segue è quella della macchina, in quando il trapianto non sarà possibile. Gli anni d’oro dei trapianti sono stati dal ’96 al ’99: un trapianto la settimana. La legge che ha reso obbligatorio l’uso del casco per gli scooter è stata un’ottima legge, che ha salvato la vita a parecchie persone, tra cui quotidianamente noi che lo utilizziamo. D’altra parte ha diminuito donatori giovani. Cosa ci si aspetta dal futuro: dispositivi non solo più piccoli e in pazienti meno compromessi il venir meno del borsello con una tecnologia a batteria. Tra gli stand di tutto sulla ricerca, in ambito psicologico, il risparmio energetico, non solo per quanto concerne i paesi industrializzati, ma anche al legame che questi hanno con i paesi in via di sviluppo. Macchine che sempre di più si sottraggono all’intervento dell’uomo, il cui intervento può essere dato da input iniziale, che possono avere i più diversi impieghi: dal volontariato all’industria bellica, anche per usi di bonifica di materiale radioattivo o mine.


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