La Notte e le strane risonanze: da Gianni Celati a Bob Dylan

Creato il 11 aprile 2014 da Maryz

Ne La notte, il racconto che conclude Selve d’amore di Gianni Celati (Quodlibet, 2013), un passo nelle pagine finali potrà sorprendere il lettore selvaggio e innamorato. Vi si parla appunto della notte prima del ricovero in manicomio di Pucci, amico del narratore e protagonista, tra l’altro, di alcuni dei racconti pubblicati nelle precedenti raccolte di Vite di pascolanti (Nottetempo) e di Costumi degli italiani (Quodlibet).

Il passo è questo:

«La madre s’è seduta sull’orlo del materasso, ed è rimasta ad aspettare l’alba. Qui io invento tutto, si capisce ma so cosa succede in questi momenti. Tu sei come al solito nella tua prigione, guardi dalle inferriate e vedi una punta di luce che viene da oriente; allora vai col pensiero verso quella luce, che non è nessuna speranza, è solo un giorno uguale a tutti gli altri che sta per cominciare. Ma questo è il buono della faccenda: tu aspetti il giorno ancora una volta, senza aspettarti niente, soltanto perché ci sei, e sei lì da buon carcerato, come fosse il mattino della tua liberazione

A volte, nel leggere, l’occhio e l’orecchio vengono improvvisamente attratti da un’assonanza, da una tessitura verbale allo stesso tempo familiare ed estranea, da un’atmosfera o da una melodia che appartengono insieme al testo e a qualcosa radicato in un’altra memoria. Ma quale memoria? La nostra o quella dell’autore o un’altra ancora che l’autore sembra voler citare e richiamare alla superficie? Strana faccenda che genera un curioso cortocircuito, una sciarada, un gioco in cifra. Strano caso, in cui il testo ti strizza l’occhio e sembra volerti dire “noi ci capiamo, vero?”. Di questa allusività nel mondo classico ha scritto in maniera mirabile Gian Biagio Conte in Memoria dei poeti e sistema letterario. Catullo, Virgilio, Ovidio, Lucano (ripubblicato da Sellerio nel 2012) . A me, lettore lunatico erratico e spesso inconcludente, questa strana chiamata in causa, questa allusione testuale, è capitata, prima di questa volta, solo in un’altra occasione. E ancora non me ne capacito, e non riesco a descriverla.
Ma nel caso del brano di Celati la tentazione è troppo forte per non provarsi a decifrare questo sogno di prigione.

“I see my light come shining / from the west unto the east / any day now, any day now, / i shall be released.”

La luce (lì da oriente, qui “from the west unto the east”), il giorno (giorno che segue un altro giorno, l’attesa), la liberazione. È la voce di Bob Dylan, o a scelta la performance di The Band (dipende dall’album di riferimento, i Basement Tapes o Bob Dylan Greatest Hits Vol.2 o The last waltz) nella canzone I Shall Be Released, che si è insinuata nella veglia notturna e nella visone della luce mattutina, che ha prodotto uno strano effetto di risonanza nella voce del narratore, nel momento della vita di una persona in cui si accede forse a uno speciale tipo di percezione e di consapevolezza. Nel momento, anzi, in cui percezione e consapevolezza scivolano in un altro stadio d’umanità, tralasciano argomenti di coerenza, di forma, di regolarità, perdono almeno temporaneamente il controllo sull’individuo e lo lasciano respirare. E vivere.

“I see my light come shining…”: chi potrebbe cantare questo straordinario inno?
Un carcerato? Un uomo dietro un muro? Un ubriaco? Uno che perso nelle ombre della sera giri a piedi in un quartiere sconosciuto, davanti a portoni di condomini abitati da studenti, pensionati e gente sola?

Un pazzo?

“Any day now…”

O potrebbe essere forse un poeta? uno che assembla provvisoriamente i frammenti del tempo, celebrando “questo insostanziale, e il vuoto, l’ombra, l’erba secca, le pietre dei muri che crollano e la polvere che respiriamo” (Gianni Celati, da I lettori di libri sono sempre più falsi, in Quattro novelle sulle apparenze, Feltrinelli)?

Ma forse queste sono solo domande, e strade sbagliate, false analogie, inutili pensieri.

A volte i pensieri e le domande vengono così. Scie luminose che attraversano la calotta cranica, come stelle cadenti.

 
Davide Fischanger



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