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La nuova Defense Review degli USA: egemoni globali in tempi di austerity?

Creato il 13 marzo 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

La nuova Defense Review degli USA: egemoni globali in tempi di austerity?

di Davide Borsani

In una fase storica in cui il multipolarismo pare ormai essersi affermato nel quadro delle relazioni internazionali, l’evidente necessità post-crisi finanziaria di perseguire un ridimensionamento strategico da parte di quella che fino a quindici anni fa era ancora identificata come l’hyperpuissance statunitense (per usare un’espressione coniata dal Ministro degli Esteri francese, Hubert Védrine) ha aperto inevitabilmente finestre di opportunità per i vari competitor statuali nei numerosi teatri regionali in sostituzione, o quantomeno in compensazione, della decrescente influenza americana. È all’interno di questo framework che il Pentagono ha pubblicato ad inizio marzo la nuova Quadriennial Defense Review (QDR), con il dichiarato fine di ottimizzare le capacità difensive e di proiezione della propria potenza secondo logiche costi/benefici ponderate in un momento in cui i tagli alla spesa pubblica, inclusi quelli militari, sono diventati una priorità per gli Stati Uniti.

La QDR parte da un punto fermo: i trend regionali e globali, sommati alle misure di austerity già applicate o prospettate a Washington, rendono «imperativo» per gli USA adattarsi al nuovo contesto strategico più rapidamente che in passato, pena la perdita della leadership globale. Due sono le strade suggerite: la prima, adottare approcci innovativi; la seconda, istituire nuove partnership e alleanze. Puntare sullo shale gas, e quindi sull’indipendenza energetica come fondamento del rinnovato potere statunitense, è la via principale suggerita dal Pentagono, che in realtà va oltre, auspicando per Washington un ruolo di esportatore di materie prime, che permetterebbe così di ridefinire la propria politica estera incrementandone l’influenza globale. Soprattutto, aggiungiamo, se si considera che i due competitor principali, la Russia e la Cina, per ragioni e con modi differenti esercitano la loro influenza proprio in relazione agli interessi di export/import energetico. Così come l’energia dovrebbe costituire il perno economico di una rinnovata politica estera, l’affermazione del tradizionale ideale universale di libertà, secondo la QDR, dovrebbe restare quello politico poiché «i popoli del mondo gravitano verso la libertà, l’uguaglianza, lo stato di diritto e la governance democratica di cui i cittadini americani sono in grado di godere». Ed è quindi in funzione della diffusione di tali istituzioni che gli Stati Uniti devono costruire e cementare alleanze e partnership all’interno di un network mondiale, che in maniera concertata possa prevenire e risolvere crisi e gravi situazioni contingenti sotto la guida di Washington. Il fil rouge che lega il potere economico a quello politico è dunque di natura militare, un settore dove gli Stati Uniti godono tuttora di un enorme vantaggio comparato, sia in ambito tecnologico che umano, rispetto a tutti gli altri membri della comunità internazionale. La QDR pone quindi in evidenza che per non perdere tale supremazia è necessario respingere logiche indiscriminate di austerity, che permetterebbero sì il risparmio di denaro a livello pubblico, ma ciò sarebbe fine a se stesso e rischierebbe anzi di innescare dinamiche pericolose per la sicurezza nazionale.

Sono tre gli interessi cardine identificati dalla QDR. Primo, proteggere la nazione; secondo, garantire la sicurezza internazionale; terzo, proiettare la propria potenza nel mondo e «vincere in modo decisivo». Se la prima priorità è una necessità naturale per qualsiasi Stato, è interessante sottolineare che, a fronte di un ridimensionamento dello strumento militare, gli Stati Uniti non rinunciano a rivendicare il ruolo di egemone globale. La QDR evidenzia infatti la necessità di mantenere una forte presenza nel mondo per plasmare gli eventi dal Pacifico al Medio Oriente, dall’Europa all’Africa esercitando la propria influenza e, se necessario, attraverso il dispiegamento della propria potenza militare in modo proattivo, rapido e schiacciante. È però evidente che, per ciascuna di queste regioni, resti necessario ottimizzare il dispiegamento delle forze in base alle minacce manifeste e nell’ottica di rendere efficienti le decrescenti risorse. In cima alla lista delle priorità, quindi, per il Pentagono si conferma il pivot Asia: in un quadro di un più ampio ribilanciamento strategico, la Difesa identifica come assoluta priorità mantenere una forte presenza nella parte nord-orientale (quella del triangolo Tokyo-Pechino-Pyongyang, per intenderci), intraprendendo contemporaneamente il potenziamento delle posizioni in Oceania, nell’Oceano Indiano e nell’Asia sud-orientale. È difatti quella asiatica la regione identificata a maggiore rischio dal Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate USA, il Generale Martin Dempsey, dove «nei prossimi dieci anni» si prevede la concreta possibilità di un conflitto interstatuale. Ed è quindi nell’ottica di riposizionamento verso l’Asia che vanno letti anche il ritiro dal Medio Oriente, nella fattispecie da Iraq ed Afghanistan, poiché i militari lì in missione sono stati e saranno prontamente ridispiegati in Oriente. Il focus militare in Medio Oriente, l’altra area calda per la QDR, sarà invece centrato sul Golfo, dove certamente un’intrinseca instabilità persisterà, ma non costituirà la prima priorità per il Pentagono.

Si arriva così al nodo gordiano della questione. Come impattano le misure economiche di austerity sulle priorità strategiche identificate dalla Defense Review? La minaccia maggiore per la sicurezza degli Stati Uniti, infatti, per la QDR non proviene oggi da un’area distante del mondo o dai Paesi confinanti, bensì dall’interno, ossia dai tagli automatici al budget per la difesa, su cui il Congresso già si è accordato nel corso del 2012 e del 2013 e che, in assenza di un’ulteriore revisione, scatteranno sin dal prossimo anno fiscale. Il sequester, come sono stati definiti tali tagli, secondo la QDR renderebbe le Forze Armate «sbilanciate, troppo esigue e non sufficientemente moderne» per ricoprire il ruolo prospettato dal Pentagono. Anzi, ciò rafforzerebbe gli avversari ed indebolirebbe persino gli alleati, mettendo a repentaglio ancor più la stabilità internazionale prima, e la sicurezza nazionale dopo. È dunque per sottrarsi a tali dinamiche che recentemente il Segretario alla Difesa, Chuck Hagel, ha proposto al Congresso un nuovo piano finanziario che consentirebbe al Pentagono di perseguire le direttrici strategiche identificate dalla QDR, pur a fronte di una riduzione complessiva del budget rispetto al passato. In un’ottica di snellimento e di efficienza, la nuova spending review di Hagel pone un forte accento sull’evoluzione tecnologica militare, e quindi sulla qualità, a scapito del numero di uomini, e quindi della quantità. Come ha dichiarato il Segretario, anticipando le conclusioni della QDR, per gli Stati Uniti è necessario sostenere «una modernizzazione in funzione delle priorità di lungo termine» continuando ad esercitare globalmente la propria influenza.

Non è questa la sede per scendere in dettaglio nelle concrete misure prospettate dalla spending review di Hagel, che d’altronde ancora deve ottenere l’approvazione (non scontata) del Congresso. In una prospettiva strategica, tuttavia, sono significative le parole di Dempsey, secondo cui il problema oggi non è compiere le pur (necessarie) difficili scelte in base a (accettate) logiche di austerity, quanto fare le scelte giuste, rinunciando a perseguire la via del sequester e dei tagli lineari automatici: per gli Usa, infatti, «cambiamenti drammatici saranno richiesti» fino al 2025, ma lasciare la sicurezza nazionale in balia di semplici conti ragionieristici renderebbe più incerta non solo la nazione, ma l’intero mondo dove gli Stati Uniti, secondo la QDR, sono ancora chiamati a ricoprire il ruolo, come affermò la clintoniana Madeleine Albright (non casualmente contemporanea dell’omologo francese Védrine), di «nazione indispensabile».

* Davide Borsani è PhD Candidate in Storia delle Relazioni e delle Istituzioni Internazionali (Università Cattolica del Sacro Cuore)

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Photo credits: AP

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