Tutto questo parlare di cibi, di abitudini alimentari, di pericoli nascosti nel cibo fa riflettere sulle responsabilità del sistema scolastico per quanto riguarda l’educazione alimentare. Un tempo credo si desse per scontato che fosse la famiglia ad insegnare a mangiare sano, a scuola si portava solo la merenda delle dieci che non era ancora una merendina perché ho iniziato le elementari durante l’epoca pre-Mulino Bianco. Vicino alla mia scuola c’era un negozietto strategicamente piazzato a meno di un minuto dalla porta d’ingresso dell’istituto dove si andava a comprare la focaccia. I pezzi erano già pronti, pesati e fasciati. Si entrava e si chiedeva: “Cinquanta lire di focaccia, per favore”. Pochi erano quelli che si avventuravano a prendere il pezzo da cento lire. Io negli anni delle elementari non ho mai osato avvicinarmi a quello da cento, in parte perché i soldi erano contati, in parte perché con cinquanta lire si otteneva una merenda sostanziosa. Io poi ero lenta nel mangiare per cui non ce l’avrei mai fatta a mangiare cento lire di focaccia nel breve spazio dell’intervallo. Non che fossi una bambina inappetente, assolutamente no, ma ci mettevo dei secoli per mangiare, forse perché mi piaceva gustare ogni boccone e farmelo durare, chi lo sa. La mia proverbiale lentezza nel mangiare mi ha salvato da abbuffate selvage e, una volta varcato l’oceano, mi ha permesso di non sconfinare nelle taglie calibrate.
Con l’arrivo dei miei figli ho fatto un corso intensivo di time management, soprattutto a tavola. Continuare con i miei ritmi con due bambini piccoli sarebbe stato impossibile. Una madre sa che quando si siede a tavola con la prole è carpe diem, quando poi si hanno in casa due adolescenti è la legge della giungla. Chi tardi arriva, male alloggia. Non mi stanco mai di dire a mio figlio “Mangia piano”, mentre mia madre insisteva, “Svelta, sbrigati. Non ne vuoi più?” con la variante “Non lo mangi più?” domande a cui prontamente rispondevo: “Lo mangio, lo mangio!” “Sveltina, stiamo aspettando” era il mantra delle riunioni famigliari. Non credo di aver mai dovuto insistere con i miei figli che mangiassero in fretta. Una volta iniziata la scuola, hanno imparato che il tempo a disposizione per il pranzo, o meglio il lunch, era assai limitato. Dallo slow eating di casa sono passati al fast eating dell’asilo e dalla scuola. E lì hanno scoperto un mondo di cibi industriali che non avevano mai visto: il jello, ossia una gelatina plasticosa dai colori fluorescenti, gli hot dog di pseudocarne, il Mac & cheese e chissà che altro. In seconda elementare, poi, l’epifania. La figlia grande ci comunica che al termine di un’unità didattica dedicata alla nutrizione, la classe sarebbe andata in gita scolastica al supermercato per imparare i vari tipi di cibi. Io che al supermercato li avevo portati da quando erano bebè sono rimasta alquanto allibita, ma poi ho pensato che in un paese multietnico ci fossero talmente tante varietà alimentari che forse anche la visita al supermercato potesse avere un senso. Insomma c’è chi va a vedere una cattedrale e chi preferisce il tempio del consumismo. La ciliegina sulla torta è arrivata una settimana prima della gita. Siamo seduti a tavola per cenare e Anna, sempre molto attenta e scrupolosa, ci informa che la maestra ha annunciato che dopo la visita al supermercato, sarebbero andati a mangiare da McDonald’s per completare la “unit on food and nutrition”. Mio marito ed io ci guardiamo allibiti. “Dove?” chiediamo increduli. Sì risponde la bimba, la maestra ha detto che ci portano da McDonald, guarda qui. Si alza e prende il foglio nel quale si legge appunto che il pranzo verrà effettuato nella famosa catena di fast food di fronte al supermercato, a pochi passi dalla scuola. Accidenti, la madre italiana non crede ai suoi occhi! Dopo un lungo allattamento e anni passati a preparare omogeneizzati casalinghi, sughi, verdure e persino succhi con ingredienti freschi non potevo che esprimere il mio disappunto per una scelta così paradossale. Passiamo la serata a valutare la situazione. Il fast food in casa nostra è veleno, è junk food, non siamo mai andati da McDonald’s e non abbiamo piacere che la scuola educhi al fast food. E così tra una riflessione e l’altra arriva l’ora di andare a dormire. La lettera alla maestra per esprimere il nostro disappunto riguardo alle scelte nutrizionali della scuola è rimasta un’idea, ci dormiremo sopra. La questione non è del tutto chiusa, ci riproponiamo di pensarci con più calma.
Il giorno dopo, sorpresa! Anna torna da scuola e racconta che mentre la maestra parlava della gita e del pranzo lei ha alzato la mano e con il candore e la convinzione di una bambina di sette anni ha sottolineato: “My parents said that McDonald’s is junk food and if we want to learn about nutrition, we should eat healthy food”. A quanto pare la maestra è rimasta sconcertata dal commento della piccola e ha risposto che se preferiva mangiare qualcos’altro, poteva portarsi il pranzo da casa. Quando nostra figlia ci racconta l’accaduto, ci rendiamo conto che la franchezza dei bambini non ha limiti. Ci sentiamo immediatamente un po’ in imbarazzo, cosa fare? Il giorno della gita, la bambina parte da casa con il suo cestino, o meglio lunch box. E’ l’unica a portarsi il mangiare da casa. Tutti gli altri genitori non si oppongono alla decisione scolastica, perfettamente integrati nelle contraddizioni educativo alimentari del paese a stelle e strisce. McDonald’s le regala lo stesso il giocattolino dell’Happy Meal, pensando che magari potesse essere un investimento nel futuro o forse per non farla sentire diversa dagli altri. Contrariamente a quanto non temessimo, Anna torna a casa contenta. Il dilemma materno sembra essersi risolto senza conseguenze traumatiche. A volte si lamenta dicendo: “I wish I had a normal mother!”, ma almeno per quanto riguarda le scelte alimentari non ci sono discussioni.