La pace non può essere imposta: soprattutto ad Israele

Creato il 24 maggio 2011 da Bloglobal @bloglobal_opi
di Gianpiera Mancusi
President Obama at 2011 AIPAC Policy Conference (White House)
Sono molti gli israeliani che possono dirsi soddisfatti del discorso tenuto dal presidente Obama dinanzi all'American Israel Public Affairs Committee (AIPAC). Tra questi c'è di sicuro Benyamin Netanyahu: il Premier israeliano, infatti, non ha tardato a commentare positivamente l'intervento del Presidente americano. Non solo perché Obama ha fatto menzione di due temi piuttosto cari ad Israele: l'amicizia tra i due Stati, basata sulla condivisione di valori fondamentali, e la sicurezza nazionale (un vero pallino per uno Stato che sente costantemente minacciata la sua esistenza). Obama ha di fatto posto fine all'equivoco nato intorno alle parole pronunciate giovedì. «La mia posizione sui confini del '67 è stata mal interpretata da molti. Ciò che io ho sostenuto significa che Israele e Palestina negozieranno un confine diverso da quello che esisteva il 4 giugno del 1967». Se avesse confermato la precedente versione (ossia il ritorno ai confini pre-Guerra dei Sei Giorni) Obama avrebbe davvero dato una svolta alla politica estera americana.  Ma in America è già tempo di campagna elettorale e l'appoggio della lobby ebraica diventa fondamentale per essere rieletti. Possono, quindi, tirare un sospiro di sollievo i circa 300.000 mila coloni che vivono in Cisgiordania. Meno contenti i Palestinesi: nessuna menzione del loro diritto a ritornare nei territori dai quali furono scacciati a partire dal 1948. Il Presidente ha poi criticato il recente accordo tra Hamas e Fatah, definendo la prima un'organizzazione terroristica e riconoscendo come unico interlocutore il governo di Ramallah. Ma ciò che è più importante, per lo stato d'Israele e per l'intera comunità ebraica, è la volontà americana di non dare alcun seguito qualora, durante la prossima Assemblea Generale, le autorità dell'OPT (Occupied Palestinian Territories) proclamassero la costituzione dello Stato palestinese (che comprenderebbe West Bank, Gaza e Gerusalemme Est). Se messa ai voti, tale dichiarazione passerebbe di sicuro, non solo per l'appoggio da parte di tutto il mondo arabo, ma anche perché molti Paesi europei (tra cui la Francia) hanno già preannunciato il loro assenso. Ma avere il sostegno della superpotenza americana, si sa, conta più dei voti: e questo Netanyahu lo sa bene. Sebbene gli Usa non abbiano potere di veto in seno all'Assemblea (dove seggono tutti i rappresentanti degli Stati membri dell'ONU), nei prossimi mesi la diplomazia americana userà tutti gli strumenti diplomatici a disposizione per scongiurare un tale "tsunami politico". D'altronde "nessun voto alle Nazioni Unite potrà mai creare uno Stato Palestinese indipendente". Alla faccia del cambiamento e della democrazia. * Gianpiera Mancusi è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)

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