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Cormac McCarthy con i fratelli Coen
Poi leggi Cormac McCarthy. Questo autore, nato nel 1933 negli Stati Uniti da una coppia irlandese. In realtà si chiamerebbe Charles, come il padre, ma ha scelto il nome Cormac, tipico irlandese ed è considerato insieme a Don De Lillo, Thomas Phynchon e Philip Roth, uno dei principali autori della letteratura contemporanea Nord Americana. Nonostante sia stato prolifico nello scrivere e nonostante dai suoi romanzi siano stati tratti film di successo (fra gli altri il pluripremiato “Non è un paese per vecchi” – No country for old man, di Joel and Ethan Coen) vive fuori Santa Fè con la terza moglie e il figlio avuto quasi a ’70 anni, e non frequenta la comunità di scrittori e registi. Dice che preferisce gli scienziati. Uomo schivo e taciturno (la prima intervista televisiva l’ha accordata ad Oprah nel 2007, ma senza muoversi da Santa Fè) lascia parlare al posto proprio i suoi romanzi, definiti South Gothic, western apocaliticci.
Come inizi a leggere “La strada” capisci che hai in mano un caposaldo della narrativa. Perché è la storia di un padre ed un figlio ma anche la storia dell’umanità, perché il rapporto centrale è intimo e particolare, ma al tempo stesso universale. Perché parla di due persone che possono essere uniche e rappresentare tutti. Perché “La strada” è epica. Quando dice l’uomo e il bambino, in realtà ci dice di tutta la razza umana. Ma ci racconta di ognuno di noi e ci sentiamo di volta in volta ancora bambini, conservando i sogni dell’infanzia in un mondo che sta finendo. E ci sentiamo il padre forte e disperato, che continua ad essere amorevole solo verso il figlio ma cinico verso tutto il resto, in un percorso attraverso la distruzione, verso la morte certa. Il mondo si sta spegnendo, e noi portiamo il fuoco. Questo è il messaggio e sentiamo che potremmo essere noi ma non vorremmo mai esserlo. Eppure rimane sempre aperto uno spiraglio per la fievole speranza.
Kodi Smit McPhee/il ragazzo e Viggo Mortensen/L'uomo
Questo libro è un capolavoro di essenzialità nel linguaggio. È un testo che ti colpisce per la totale spersonalizzazione: nel grigio, nel freddo, nell’essenzialità del rapporto così profondo. Non ci sono parole in eccesso, non conosciamo i nomi dei protagonisti che sono solo l’uomo e il bambino. I pochi esseri umani che incontrano sono il vecchio, il veterano, la donna. Eppure è altamente evocativo ed è impossibile non immedesimarsi. Quando lo leggi senti freddo, quando lo chiudi e appoggi questo libro, sogni in bianco e nero. Ma in un angolo remoto del tuo essere, come il bambino, vorresti aver la certezza che i buoni siamo noi e che mai nulla di male potrà succedere a chi amiamo, anche in mezzo all’apocalisse. Contemporaneamente, però, ti immedesimi nel padre e vorresti far di tutto perché questa certezza che stai cercando di passare al figlio non muoia con te.
La strada (The road, 2006) di Cormac McCarthy, edizioni Einaudi2007, havinto il Premio Pultzer nel 2007.
Non avendo trovato foto della terza moglie e del figlio, Cormac-McCarthy e Annie DeLisle, seconda moglie 1967/1981
Alla fine del 2009 è uscito il film “The Road” diretto dal regista John Hillcot basato sulla sceneggiatura che Joe Penhall ha tratto fedelmente dal romanzo. Il film ha rischiato di non venire distribuito fuori dagli USA, per via dello scarso successo al botteghino: troppo angosciante e depressivo. Poi nel 2010 è arrivato nelle sale italiane ed è stato presentato anche al Festival di Venezia. A me è piaciuto molto, è un raro esempio di adattamento riuscito. Questo film ha avuto anche la benedizione dello schivo Cormac, che, un articolo del Guardian ci racconta, prese la sua vecchia auto all’età di 75 anni suonati e guidò nel deserto da Santa Fè ad Albuquerque, per vedere nel salotto di una casa con il regista e lo sceneggiatore la proiezione del film montato, prima dell’uscita. Era già andato sul set una volta con il figlio John, sua vera fonte di ispirazione per il personaggio del bambino. Il ragazzo è nato nel 1997 dall’unione con la terza moglie, Jennifer Winkley, sposata poi nel 2007.
Pare che, terminata la proiezione abbia chiesto di andare al bagno, senza aggiungere altro, creando sconforto fra i presenti. Dopo un tempo che sembrava interminabile, è uscito e ha detto che il film gli era realmente piaciuto. Poi si è fermato a cena ed ha raccontato cosa l’ha ispirato.
“I had begun my screenplay not long after my own father had died prematurely, identifying with the boy in the book. But by the time we began the edit, I had my own son on the way, and was identifying solely with the father, who, as the world gradually burns up, despairs of ever seeing his son grow old”. The Guardian, 4 gennaio 2010. Quando ha iniziato la storia aveva appena perso il padre e si immedesimava nel ragazzo, quando è arrivato all’editing finale, aveva un figlio, un figlio avuto in tarda età, ed ha capito che si poteva identificare solo ed interamente con il padre e con la sua paura si scomparire e non vederlo crescere mentre il mondo introno va in fiamme.
… Migliaia di notti a sognare i sogni della fantasia di un bambino, mondi di volta in volta generosi o terrificanti ma mai il mondo che sarebbe stato davvero.
… Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso. Capisci? E tu non ti puoi arrendere. Io non te lo permetterò.
… Però certe cose uno se le dimentica, no? Sì. Ci dimentichiamo le cose che vorremmo ricordare e ricordiamo quelle che vorremmo dimenticare.
Nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa. Ogni ora. Non c’è un dopo. Il dopo è già qui. Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un’origine comune nel dolore. Nascono dal cordoglio e dalle ceneri. Ecco, sussurrò al bambino addormentato. Io ho te.
… Cercò di pensare a qualche cosa da dire ma non gli venne in mente nulla. Aveva già provato quella sensazione, qualcosa che andava oltre l’intorpidimento e la disperazione sorda. Il mondo che si riduceva a un nocciolo nudo di entità analizzabili. I nomi delle cose che seguivano lentamente le cose stesse nell’oblio. I colori. I nomi degli uccelli. Le cose da mangiare. E infine i nomi di ciò in cui uno credeva. Quanto di questo era già scomparso? Il sacro idioma privato dei suoi sentimenti e quindi della realtà. Ripiegato su se stesso come un essere che cerca di preservare il calore. Prima di chiudere gli occhi per sempre.
l'uomo e il ragazzo su La strada
… La gente si prepara sempre al domani. A me sembrava assurdo. Il domani non si stava certo preparando per loro. Non sapeva neppure che esistessero. Già. Anche se uno sapesse cosa fare, non saprebbe cosa fare comunque. Non saprebbe se lo vuole fare o no. Cosa farebbe se la colpa fosse sua?
Lei vorrebbe morire?
No. Ma forse vorrei essere già morto. Quando uno è vivo la morte ce l’ha sempre di fronte.
Oppure potrebbe desiderare di non essere mai nato. …
Quello che è fatto è fatto. E comunque, sarebbe stupido pretendere certi lussi in un momento come questo.
In effetti.
Nessuno ha voglia di stare qui e nessuno ha voglia di andarsene …
Ma se uno fosse l’ultimo uomo sulla faccia della terra, come farebbe a saperlo?
Be’, suppongo che non lo saprebbe. Lo sarebbe e basta.
Non lo saprebbe nessuno.
Non cambierebbe nulla. Quando si muore è come se morissero anche tutti gli altri.
… Ogni tanto la donna gli parlava di Dio. Lui ci provava a parlare con Dio, ma la cosa migliore era parlare con il padre e infatti ci parlava e non lo dimenticava mai. La donna diceva che andava bene così. Diceva che il respiro di Dio è sempre il respiro di Dio, anche se passa da un uomo all’altro in eterno.
… Non ci augura nemmeno buona fortuna?, disse l’uomo.
Non so neanche cosa significhi. Com’è fatta la fortuna? Chi può dirlo?”
Da “La Strada” di Cormac McCarthy, Einaudi, 2007.