la panchina del Forlanini è sola contro aprile

Da Bellocks
E poi un giorno, davanti al soffritto giusto per la pasta buona con le vongole, arriva la telefonata che dice che le cose hanno preso la direzione che non vedi mai. La direzione che non vedi mai è una voce dell'altra parte del telefono che ha i toni bassi e la raucedine delle brutte notizie. E' lenta, incapace, sudata, ha una massa radio opaca di 2 centimetri nell'asse mediano delle vie biliari e ancora tanto fiato da spendere. Questo è quanto, il soffritto procede incurante sul fornello e non c'è bisogno di aggiungere altro. Questa è la vita che si muove di fianco, sordida, impalpabile, cristallina; o piuttosto quella di dentro, indipendente, cellulare, logica. In ogni caso meglio dell'altra, quella degli utili borghesi e le rette insolute a fine mese. Non venitemi a dire che la vita epidermica è più incoraggiante di quella di dentro, non venitemi a dire che là fuori è la vita. La vita è una cosa che non te la spieghi, con le favole che sanno di fregatura al primo incontro. Devo spingere con il Subbuteo, sognare e affondare sulla fascia come fossi un campione. Perché la vita è anche spingere e spingere e conquistare a fatica quella bastarda illusione di farcela. Solo un attimo, scendo solo un attimo per un caffè, te lo prometto che ritorno. Non posso lasciarti un secondo che già ti metti a frignare e non la smetti mai di serrarmi la mano. Di cosa ti preoccupi? Di cosa hai paura? Guarda che ritorno, guarda che saranno in tutto 6 minuti, il tempo di scendere di sotto e sbattere la testa contro la macchinetta dell'ingresso. Il tempo che ci mette l'infermiera a fare il prelievo dei marker e a toglierti l'ago cannula dal braccio. La vita è anche questo, levarsi dai coglioni in tempo utile, uscire dal letto 14 del reparto di gastroenterologia e cozzare contro il seno prorompente dell'infermiera. - Tutto bene? No, niente è mai stato tanto lontano dallo stare bene come Oggi. Le scivolo di fianco con un sorriso, lei fa le fusa. E poi piango, dio sa quanto piango poggiato su quella panchina di cemento del Forlanini. E non sai che fatica il dover pensare alle scale, doverti ancora raggiungere. Ah, se avessi ancora la bmx e i miei prati di erba medica! Con quelli si che avrei potuto curarti, era tanto tempo fa e non c'erano ancora le scadenze. Quando faceva notte ce ne tornavamo a casa e il buio era un treno che non passava mai. Mi senti?