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“La pantera sotto il letto” di Andrea Bajani e Mara Cerri, Orecchio Acerbo

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

La_pantera_sotto_il_letto_Eb 1“Gli alberi sono cosi contenti che fanno per loro un tappeto di foglie.
Su quel tappeto la bambina e il suo papà entrano in casa.
Poi arriva la notte e prende la casa e la mette in un sacco.
La bambina ha paura che insieme alla casa la notte prenda anche lei.”

Si entra così nell’albo di Andrea Bajani e Mara Cerri, “La pantera sotto il letto”, come se ci si immergesse in una poesia.
Un lungo testo su uno sfondo scuro e cupo, che mostra un paesaggio notturno dipinto tono su tono, parrebbe quasi volerci far pensare ad un racconto descrittivo. Ma basta la prima lettura per accorgersi che la prosa pullula di suggestioni liriche, di immagini che accendono lampi, stupiscono, affascinano.

Una bambina e il suo papà, e quella che sembrerebbe una casa di villeggiatura in montagna. Una dimora per lo più disabitata che si anima il Venerdì, quando i due arrivano in auto per trascorrervi il fine settimana.
Ma non è sui giochi e le passeggiate ai quali, presumibilmente, babbo e figlia si dedicheranno durante i giorni di vacanza, che è incentrato il libro, bensì sulla notte, il territorio oscuro che inevitabilmente si apre al termine d’ogni dì, familiare per gli adulti che credono di dominarlo, spaventoso per i piccoli che lo popolano di esseri misteriosi o, peggio ancora, lo percepiscono come vuoto e come assenza.

Per la piccola di cui si sta raccontando il momento più spaventoso è quello della pipì notturna, quando le necessità corporee non possono essere ignorate ma uscire dalla stanza per gettarsi in un buio sconosciuto è un’impresa troppo ardua.
Per questo la bambina porta con sé, al momento di andare a letto, una vecchia padella e la posiziona sotto il letto per usarla poi come vaso da notte. Per lei sarà lo strumento fondamentale che le permetterà di restare al sicuro, di non essere portata via dalla notte.

La paura del buio è familiare alla maggior parte dei bambini. Perciò l’autore, dopo aver informato il suo giovane lettore che la ragazzina di cui racconta non ha un’identità specifica perché “Quella bimba è una bimba qualunque, quella bimba potresti essere tu”, muta d’improvviso la persona del suo narrare dalla terza alla seconda: al voltar di pagina sei “tu” che diventi protagonista, è te che riguarda ciò che accadrà.

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E’ a questo punto che tutto cambia: il testo viene confinato a sinistra, su uno sfondo bianco che risalta nel contrasto con il precedente nero e angosciante (smorzato nel suo impatto emotivo dal lungo testo sovraimpresso).
La pagina a destra, con l’illustrazione che si espande a filo di foglio, mostra la bambina a tre quarti di figura, con la padella sottobraccio come fosse una tavola da surf e lo sguardo di chi è deciso ma parimenti è consapevole di star per affrontare qualcosa di serio e impegnativo.
E’ un’immagine che ha molta forza, quasi non si riesce a spostare gli occhi da quelli della piccola, che troneggiano come due scure calamite. La postura dritta rende la figura statica e, pur se l’aria mossa le scompiglia i capelli – a suggerire il movimento del camminare – a noi arriva per prima la fermezza.
La bimba “entra nella notte come si entra nel mare”, e noi immaginiamo il senso della sfida, che inquieta ma non spinge ad arretrare, e la padella è il mezzo che impedirà di andare a fondo.

Oltre al vecchio arnese da cucina c’è il papà che rassicura. Cinque fotogrammi dalla successione cinematografica addolciscono il momento in cui la bimba è in procinto di entrare nella camera da letto: la mano del babbo scivola lentamente dalla testa alla spalla, carezzando.
Il varco scuro oltre la porta aperta incute meno timore se non è affrontato in solitudine ma in compagnia di una figura affettiva, calda, accogliente come un genitore (per questo per i piccoli è così importante il rito della buonanotte condiviso, l’accompagnamento fin sulla soglia del terreno oscuro, fino al decollo per il viaggio straordinariamente quotidiano).

La padella al suo posto e babbo e figlia si coricano in letti gemelli. Ma il letto nella notte diventa un’astronave, ce lo dicono le parole ma lo raccontano anche le figure: un mappamondo sul comodino sarà la terra vista da lassù, un lampadario tondo già ci parla di luna, vicino alla quale sarà magico fluttuare.

Ancora fotogrammi in dettagliata successione, contorni netti delle cornici, Mara Cerri prosegue sui binari di un realismo che solo il testo sconfessa, rivelando da subito la sua natura poetica.

Ma ecco che finalmente, allo spegnere dell’interruttore, un lirismo onirico, leggermente surreale, invade anche le immagini.

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E’ a questo punto che muta anche il punto di vista del lettore: dapprima tenuto rigorosamente frontale, si trova improvvisamente ad osservare la scena dall’alto. L’autrice pare aver deciso di liberare anche lui nella possibilità sconfinata del sogno; anche il lettore ora, se vuole, può volare.

Alto, basso, vicino, lontano, tutto diventa possibile, anche il tentativo della bambina di afferrare la luna, la cui presa si fa metafora di sicurezza, di dominio sulla paura. Ma come è impossibile stringere l’astro tra le mani così è infattibile vincere sui propri timori senza affrontarli, senza confrontarsi con essi.
Così nel momento in cui scappa la pipì, bisogna alzarsi e andare nella notte, scendere fin sotto il letto a raccattare la padella.

Ed è qui, dove il mistero si tinge ancor più di nero, come fossimo alla fine del mondo, che dorme la bestia.

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Credo che chiunque conosca la psiche umana concorderebbe nell’affermare che la paura non si sconfigge mai negandola ma andandole incontro, addomesticandola un poco, rispettandola sempre, se si riesce perfino giocando con essa. La paura rassomiglia quindi ad una bestia esotica, non familiare, feroce, più grande di noi, ma anche bellissima, ammaliatrice, perché ci parla sempre di un limite che vorremmo superare, oltre il quale c’è qualcosa che, una volta raggiunto, potrebbe arricchirci, farci sentire più forti, cresciuti.

La pantera è rivelata al lettore in un’intera doppia pagina senza cornice: è bene che anche lui, come la bimba, piombi diretto in contatto con essa.
La lettura, d’altra parte, è un’esperienza empatica e di immedesimazione e in un albo illustrato di qualità tutto – dalle immagini, al testo, alla disposizione delle une rispetto all’altro, all’impaginazione, all’architettura…– dovrebbe contribuire alla costruzione sia del senso che dell’emozione, sia della narrazione che della suggestione.

E’ dopo che la bambina ha espletato i suoi bisogni, senza accorgersi dell’animale (di nuovo le azioni ci vengono mostrate con fotogrammi rettangolari, netti, in rapida successione) che avviene l’incontro.

E’ una metamorfosi: dalla padella dal giallo contenuto agli occhi gialli della pantera che ora paiono quasi buoni. E lo sembrano perché lo sono: l’atto di affrontare la paura l’ha addomesticata, il ponte – sempre un poco labile, sempre da maneggiare con cura, sul quale muoversi con un equilibrio attento e rispettoso – è tracciato.

I bordi delle figure si fanno vacui, poco definiti, contaminati, perché di nuovo siamo nel territorio dell’inconscio, dell’anima, delle emozioni.

Ma più interessante ancora è che le immagini da piccine e quasi quadrate si fanno strette e lunghe: diventano quindi un spazio, un palcoscenico, per un movimento d’avvicinamento, raccontano una relazione che va da – la belva – a qui – la bambina.

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Fino ad annullare ogni limite (cornice) nello sguardo che le due si scambiano, di nuovo potente ma anche struggente, di nuovo statico ma anche vibrante.

Quando la paura è stata avvicinata e carezzata – secondo le sue leggi, s’intende – accade che si svegli il papà, il quale, da adulto fermo nelle sue certezze, vorrebbe uscire dalla stanza per recarsi in bagno.
Ma la bambina che ha fatto amicizia con la paura ora può avvalersi appieno della capacità dell’infanzia, che è quella di sapersi muovere in maniera sapiente e privilegiata nei territori del fantastico e dell’immaginazione.

Come non pensare a questo punto ad uno dei (tanti) capolavori di Wolf Erlbruch, “La notte”? Anche là c’è un papà che accompagna un bimbo nella notte ed il piccolo è il solo a cogliere davvero la magia di quelle ore scure, dove gli spazi ordinari si riempiono di personaggi astrusi e affascinanti, dove lo spazio si piega a nuove leggi, dove le fiabe entrano nella realtà, dove ai sogni si può stringere la mano come ai grandi orsi bianchi…
Nell’albo di Erlbruch manca la dimensione della paura a vantaggio di quella del fantastico, ma di fatto ciò che asserisce Bajani – “Perché i grandi conoscono la notte, sanno accendere e spegnere le lampadine, ma dentro al buio non ci sanno andare. Cosa che sai fare tu” – è esattamente quello che ci racconta anche il grande artista tedesco.

La bambina ora può uscire con gioia e padronanza dalla stanza sospesa che s’è fatta trasparente e fluttuante – immagine potentissima di solitudine, ma anche fonte dello stesso sgomento ammaliante che si prova di fronte alla vastità del cosmo: un senso ancestrale d’infinito e di definitiva sospensione e caduta di senso dei riferimenti spaziali e temporali.

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La padella che suggeriva una tavola da surf ora può farsi davvero tale, davanti gli occhi dell’illustratrice che mi piace immaginare ridenti e un poco sornioni mentre le sue mani animano quattro grandi doppie tavole in successione nelle quali bimba e pantera scivolano e danzano, giocano e capriolano, in un’assenza di gravità che è presenza di tutte le possibilità.

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La paura s’è fatta amica: sa farti volare dove quella dei grandi non sa andare. Perché i bambini sono duttili, sono in movimento, la crescita è un continuo superare limiti e ostacoli, è la fantasia stessa, come anche il gioco, a permettere loro di mettersi alla prova, di sperimentare, aumentare il campo del possibile. Mentre gli adulti più difficilmente escono da posizioni cristallizzate, accettate per abitudine o per assenza di immaginazione.

Ma il papà, pur necessitando di guida nei territori fantastici, mantiene la sua fondamentale funzione affettiva (esattamente come il papà di Erlbruch): è grazie al sua calore, alle sue mani che si fanno dimora accogliente, che si può tornare al sonno, al riposo, al letto, lasciando luna e globo terrestre, stelle e spazio cosmico al loro compito di scena e di culla.

Scena e culla per i nostri due protagonisti, ma anche per tutti coloro che leggeranno l’albo e si lasceranno trascinare dalle tante, molteplici suggestioni, non esauribili con una recensione.
Perché pur tornando alla casetta di vacanza sui monti e all’alba, che rischiara il paesaggio, abbiamo compiuto un viaggio che a tanti appartiene: a tante notti, a tanti affetti, a tante tipologie di paure e successi nel superarle.

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