La parola al traduttore arabista. Intervista con Barbara Benini

Creato il 16 settembre 2013 da Chiarac @claire_com_

Settembre, tempo di nuovi inizi. E con oggi editoriaraba inaugura un’altra rubrica, questa volta mensile: ovvero, una serie di interviste con i traduttori italiani dall’arabo. È un modo per ringraziarli del (durissimo) lavoro che svolgono, che spero serva anche da incoraggiamento a tutti coloro i quali, giovani e non, si accingono a lavorare in questo campo.

“Calligraphy”, murales dell’artista siriano Khaled al-Saai (Assilah, Marocco)

Intervista con Barbara Benini

Editoriaraba: Qual è stato il tuo percorso di studi e come hai cominciato a tradurre?

Barbara Benini: Mi sono diplomata al Liceo Classico tradizionale di Ferrara e subito dopo mi sono iscritta alla Facoltà di Lingue e Letterature Orientali di Venezia. Sin dalle elementari, dove avevo iniziato a studiare l’inglese, i miei insegnanti avevano notato quanto fossi portata per le lingue straniere e infatti mi avevano consigliata di iscrivermi al Liceo Linguistico. Tuttavia, dato che a Ferrara l’unico Liceo Linguistico era privato, dopo ben sei anni tra le suore, decisi di optare per il classico tradizionale, pubblico, e non me ne sono mai pentita, anche perché era l’unica scuola superiore con il minor numero di ore di matematica e fisica, che io ho sempre odiato. Tra l’altro ho iniziato ad amare la letteratura proprio lì, grazie alla mia professoressa di latino e greco, che aveva un approccio piuttosto olistico nell’insegnamento dei classici. Terminato il liceo, la mia famiglia avrebbe voluto che mi iscrivessi alla facoltà di giurisprudenza, ma dopo un’estate trascorsa ad aiutare mio zio nel suo studio legale, ho capito che non faceva proprio per me, così ho proseguito verso la letteratura e le lingue straniere, scegliendo l’arabo come prima lingua e l’inglese come seconda.

Barbara Benini con lo scrittore egiziano Ahmed Nagi, Ferrara, Festival di Internazionale 2011

Ea: Come e perché è nato il tuo interesse per il mondo arabo e la letteratura araba?

BB: Bè il mio interesse per il mondo arabo è nato per forza di cose sin da quando ero bambina. Mio nonno, buon anima, era nato in Tunisia, di lì si era trasferito in Libia con la famiglia e durante il fascismo fu tra i primi iscritti dell’Orientale di Napoli, alla facoltà di Scienze Coloniali. La domenica a pranzo da mia nonna, si mangiava cous cous e mio nonno mi faceva sempre vedere le sue foto della Libia e della Tunisia, oltre che raccontarmi i suoi ricordi. Pure mia nonna, che era figlia di un Carabiniere di stanza a Tripoli, contribuiva alle storie narrandomi come era la loro vita laggiù. Certamente il loro approccio positivista e la loro educazione li portavano a pensare di essere andati a portare la cultura, però non è che la cosa mi abbia mai toccata più di tanto, a me interessava sapere cosa si faceva all’epoca, come si viveva, come interagivano con i locali ecc. Come ho detto prima, ho amato la letteratura sin dal Liceo, quindi era gioco forza che mi appassionassi anche alla letteratura araba.

Ea: Hai tradotto Rogers e la Via del drago divorato dal sole di Ahmed Nagi ( Il Sirente, 2010) e Al di là della città di Gamal al-Ghitani (ed. Lavoro, 1999): due autori egiziani contemporanei eppure dallo stile differente. Quale ti è piaciuto di più tradurre, se hai un preferito, e quale sono state le differenze nel lavoro di traduzione?

BB: Mi sono piaciuti entrambi perché sono due romanzi molto strani, unici direi. Ghitani ha uno stile molto complesso, utilizza termini presi a prestito dal sufismo e dalla letteratura classica piuttosto difficili e talora obsoleti, ma mi piace molto. Inoltre Al di là della città è nato a Bologna, per cui mi è stato facile riconoscere i lineamenti della città di cui si parla nel testo, anche se Ghitani è stato molto abile nel nasconderli tra miti e leggende che nulla hanno a che vedere con il capoluogo emiliano. Anche Rogers non è stato semplice da tradurre: lì la difficoltà non era di tipo lessicale, quanto piuttosto testuale. Ahmed ha uno stile molto variegato, contemporaneo, e quindi la difficoltà stava proprio nel capire dove andasse a parare. Ho letto Rogers qualcosa come sei o sette volte per capire bene la storia e per rendermi conto che alla fine era tutto un trip mentale ben costruito.

Ea: Cosa si prova nel vedere pubblicata per la prima volta una propria traduzione?

BB: Orgoglio e soddisfazione. Non sono madre, ma forse è come un parto.

Ea: Cosa consiglieresti ad un giovane traduttore che oggi voglia cimentarsi nella traduzione letteraria dall’arabo?

BB: Di leggere a più non posso nella sua lingua, perché se non si è bravi a scrivere in italiano e non si conosce bene la propria lingua, meglio lasciar perdere.

Ea: Quali sono, secondo la tua esperienza, le maggiori difficoltà dal punto di vista linguistico nel tradurre gli autori arabi (se ci sono)?

BB: Secondo me i dialoghi in arabo colloquiale: non credo che tutti i traduttori conoscano tutti i dialetti arabi e il problema sta lì. Per il resto, con l’arabo standard non ci sono grossi problemi.

Ea: Come valuti il mercato editoriale italiano rispetto alle traduzioni dall’arabo? Secondo te si potrebbe fare di più e se sì, come?

BB: Questa è una domandaccia… Purtroppo il mercato editoriale italiano per forza di cose, per ciò che concerne i grossi editori, è regolato da scelte di mercato: cioè si pubblica quel che si reputa possa vendere di più, ma vado oltre. La politica italiana verso i paesi arabi e soprattutto l’immagine che il nostro governo ha voluto dare del mondo arabo agli italiani, per via di certe alleanze strategiche a livello economico e geopolitico, influenzano anche il mercato dell’editoria. Quando un editore sceglie di pubblicare solo un certo tipo di romanzi e si giustifica dicendo “Ma i lettori vogliono questo” in parte è vero. Se costantemente si propina un certo genere di stereotipo è chiaro che il lettore medio quello si aspetta, anzi ne vuole ancora e ancora. Altro discorso sono i piccoli editori, che si sforzano un sacco con la promozione, ma che alla fine non riescono più di tanto a scalfire l’immagine imperante sul mondo arabo. Ovvio che si potrebbe fare di più, ma è sempre una questione di vil denaro: chi più ha spende male, e chi meno ha fa quel che può. Io credo molto in quello che facevano in passato, quando le arti, le Muse, erano veramente sorelle, non come ora dove ognuna si fa i fatti suoi. Musica, letteratura, recitazione ecc ecc se affiancate l’una all’altra avrebbero tutte quante da guadagnarci. Ma sono una sognatrice.

Ea: L’ultimo libro in arabo che hai letto?

BB: The diesel dell’autore emiratino Thani Al Suwaidi.

Ea: Uno scrittore arabo che secondo te dovremmo tenere sott’occhio?

BB: Youssef Rakha (NdR – questa blogger lo ha conosciuto e conferma!)

Ea: L’ultimo libro di uno scrittore arabo tradotto in italiano che hai letto?

BB: Rapsodia Irachena (di Sinan Antoon, Feltrinelli, 2010; trad. dall’arabo di R. Ciucani – NdR)

Ea: Progetti in vista di cui ci vuoi/puoi parlare?

BB: No


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