In inglese l’espressione ‘You can’t judge a book by its cover’ intima di non giudicare un libro dalla copertina: un monito che dovrebbe anche essere esteso al titolo, visto che anche quest’ultimo può tradire, illudere e deludere con le sue subdole promesse. “Notte di Nebbia in Pianura”, il romanzo di esordio di Angelo Ricci, mi aveva attratta proprio per questi due motivi: la copertina, che mostrava un lampione e tre sagome umane, appena visibili attraverso una cortina di nebbia, e il titolo, che già da solo era bastato a ri-trasportarmi ai nebbiosi e bui inverni del nord-est padano dove sono cresciuta. Ve lo dico subito: ogni promessa è stata mantenuta.
Fin dalla prima pagina, questo breve romanzo - 118 pagine in tutto - trascina il lettore nel brodo umido e nebbioso di un inverno padano, e gli ricorda che ‘la nebbia ti piace perché ci sei nato dentro’. Troviamo un uomo, un capannone giallo (‘le porte erano di un verde smorto’) e una sorta di asta in corso. Una ad una, capitolo dopo capitolo, ci vengono presentate diverse sagome umane tra la quali distinguiamo: un ex-avvocato diventato televenditore, un delinquente di periferia - detto Sticazzi - dal continuo turpiloquio interioreed un maresciallo dell’Arma in procinto di arrestare una tale Anna Sandri.
Non è facile descrivere ciò che esprime questo romanzo e soprattutto il perché riesca ad esprimerlo. L’autore stesso, intervistato su ‘Il Recensore’ dichiara di non credere: ‘alla letteratura che lancia messaggi e/o parole d’ordine.’ E infatti, man mano che ci creiamo un varco tra le varie sezioni all’apparenza disconnesse della storia, è inevitabile chiedersi quale sia il nesso tra i vari personaggi, quale sia,ovvero, il loro scopo. Lentamente - seppure i ritmi siano relativi in un’opera così breve - le connessioni appaiono, scorse a malapena attraverso la nebbia che Ricci crea volutamente nell’esposizione - flusso di coscienza, ricordi, dialogo interiore, flashback – il tutto senza introduzioni o spiegazioni; una nebbia che, insomma, sta a noi dipanare.
Se non è presente un messaggio ben definito, sono però ben chiari gli stati d’animo dei personaggi secondari che Angelo Ricci descrive: disagio, squallore, solitudine e isolamento.
L’ex-avvocato che vende quadri, anzi, ‘croste’, in televisione, è costretto comunque a giustificarsi della sua scelta di carriera poco ortodossa (‘E perché fa questo lavoro da falliti? Perché non fa l’avvocato?” - “Perché non mi piace”); l’obeso recentemente diventato orfano di madre, è condannato a vedere continuamente immagini riflesse della sua adorata maestra elementare in tutte le donne che incontra. L’effetto comico del parossismo delirante di Sticazzi - a mio avviso il personaggio più riuscito tra tutti - non riesce comunque a celare completamente la rabbia intrappolata del teppistello di provincia, ovvero il senso di inferiorità nei confronti dei ‘vincenti’ locali (“un fuoristrada del cazzo di quelli guidati da quei mezzi uomini, fighette con le mestruazioni, che facevano l’università a Pavia. Ma andate a lavorare....”). E sapendo che secondo i criteri della nostra società attuale, i ‘vincenti’ sono i vari Panza e Braghenti, berlusconiani protagonisti di “NdNiP”, ritratti mentre si giocano le rispettive quote aziendali durante una partita a carte in compagnia di due ‘ballerine’ dell’Est, l’amarezza di fondo di Sticazzi sembra ancora più centrata.
Non voglio svelare l’unica vera e propria svolta nella trama di questo romanzo; gli habitués della narrativa post-moderna riconosceranno il modello in cui le varie ramificazioni della storia si intrecciano lentamente per poi riunirsi alla fine, con risultati non sempre chiarificatori . La vera forza di quest’opera non consiste nella trama, ma nei personaggi. Lo Sticazzi, che un critico ha trovato particolarmente offensivo a causa del linguaggio scurrile, è semplicemente memorabile nel suo uso del linguaggio vernacolare e ricorda Emil Minty aka ‘Yours Truly’ in ‘Infinite Jest’ di David Foster Wallace: in entrambi i casi, si lascia parlare il personaggio, dando spazio al suo monologo interiore. Se quest'ultimo sa solo usare un linguaggio scurrile, così sia. Al critico offeso chiederei se veramente si aspetta che un sociopatico ubriaco e criminale parli come un catechista.
‘Notte di Nebbia in Pianura’ è un romanzo breve (quasi un racconto), dalla forma innovativa, e dai tratti esperti e maturi; sicuramente l’autore ha il talento necessario per un vero e proprio romanzo in cui i personaggi possano trovare lo spazio per svilupparsi e prendere pienamente vita. Mi auguro quindi che Angelo Ricci sia già al lavoro su una nuova opera, perché a giudicare dall’esordio, questo è certamente un autore di cui sentiremo parlare in futuro.
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