La passeggiata di quest'uomo, uno scapolo forse di mezz'età o forse non ancora, è un tratteggiarsi di armonie e suggestioni liberty, degne della più consolidata tradizione musicale mitteleuropea romantica e postromantica. Niente è realistico, tutto è sovrabbondante, inverosimile, prezioso: il discorso si avviluppa in un'adamantina concettosità verbale, che non mima le esigenze concrete e immediate del teatro, ma i suoi personaggi. L'io narrante, infatti, si imbatte in numerosi comprimari, spesso muti o "doppiati" dalla sua stessa voce, e li riporta a un pubblico di lettori, con i quali stabilisce rapporti cortesi e di un'elaboratissima formalità:
Non è addirittura affascinante questo correggere gli errori, questo appianare gli urti? Con le mie ammissioni mi dimostro uomo pacifico, col mio smussare spigoli, levigare scabrosità, ammorbidire durezze, sono un mitigatore discreto, manifesto sensibilità per il tono giusto e finezza diplomatica a tutta prova. (p. 79)
Walser stabilisce con i suoi interlocutori un rapporto ironico e protettivo, che ricodifica sia i convenevoli e l'oralità di un incontro quasi causale, sia una tradizionale ed echeggiante scrittura moralistica e filosofica. Il cosiddetto patto narrativo, di cui si fa un gran parlare in certa critica tuttora in voga, viene sparigliato da un'estrema autoconsapevolezza autoriale e dalle convenzioni più solide, che talora spezzano il continuum della passeggiata in un inanellarsi di quadri discreti. Walser elabora così una prossemica originalissima tra sé e i suoi lettori:
Eppure, La passeggiata di Robert Walser non è un'antologia di pagine ben scritte. È la narrativa a subire colpi in termini di continuità, ma armonia e linguaggio (come nella musica di Wagner) portano il lettore dritto fino all'ultima pagina, attraverso identikit personali e di intere classi sociali, un adorabile catalogo di caratteri teofrastei, ivi compreso l'uomo di buon gusto che questo racconto sembra pretendere quale interlocutore. Non abbiamo tra le mani un libro avvincente, se è la morsa alla gola che cerchiamo: ci avventuriamo nell'ironia più sottile, quando non nel più perfido e manierato sarcasmo, in compagnia di un uomo che finge d'esser d'altri tempi.
L'edizione italiana, Adelphi, si avvale anche di una bella nota del traduttore, Emilio Castellani, che consiglio vivamente di leggere (meglio se alla fine).