Giravo per le strade qui intorno.
Scampoli d'umano mi si paravano davanti, talvolta ci inciampavo.
Trascinavo il passo, c'era afa di fine estate, puzzo di macchine ed asfalto.
Un uomo con la pancia rilassata e prominente teneva un cane triste al guinzaglio, guardava in alto, anche il cane.
Un signore si lasciava tagliare i capelli dentro ad una barberia grigia, fissava i suoi piedi, i capelli gli cadevano giù a ciocche bagnate.
Signori in pensione al parchetto con la ghiaia discutevano del nuovo campionato, una coppia sotto braccio con scarpe ciabatta deformate, sparlavano della cognata ricca, vetrine piene di anelli d'oro impolverati, bar con gruppi di persone che consumavano aperitivi e vecchie patatine marroncine,un ragazzo ed una ragazza stretti in un abbraccio da grandi, uno scimmiottare d'amore.
Zaini costosi per la scuola, zaini di marca, un nugolo di adolescenti pieni di parolacce e bestemmie per spingere un dialogo riconoscibile agli altri, farlo rimbalzare mentre tiravano due calci al pallone, per porta due bottiglie di birra vuote, una potenza esagerata inferta alla sfera di cuio sdrucito.
I giornali della sera ancora da scartare sotto al braccio, una promessa di distrazione sul divano, una bolla di cucine immacolate, scarpe con il tacco, articoli di satira, critiche cinematografiche, un nuovo taglio di capelli.
Sulla serranda del nuovo negozio, pubblicità di pizze a poco prezzo, una margherita 3,50 euro, appena ti arriva è calda e promettente, poi si gela, diventa elastica, sa di cartone e domeniche sera tristissime, avevi pensato che sarebbe stata un'idea divertente prendere la pizza a portar via, come nei film.
Le bomboniere e le cornici d'argento, le guaine modellanti color carne, vasche troppo piene di gelato all'onda, sessantatre gusti disponibili, sessantatre onde traboccanti e colorate.
Un brulicare lento per i marciapiedi, la fila dal medico di base, le ricette ed i numeretti, il ticket e le vene varicose.
La vetrina del negozio di pesca mostrava pesci plastificati con i denti affilati dentro bocche aperte e svuotate.
Mi aggrappavo al ricordo di lei che usciva dal mare, la spinta delle gambe per spezzare l'acqua, gli schizzi che la raggiungevano sulle spalle, sul petto, le braccia lungo il corpo, la testa appena reclinata indietro, a guardare quello strascico di mare che si apriva al suo passaggio, atteggiamento come di sposa che non sarà mai,lo strascico è lungo e spumoso, di un abito nudo fatto di pelle e gocce salate.
L'estate finiva quel giorno, il signore con la pancia ed il cane ero io, la ciabatta deformata, l'uomo nella barberia, la coppia di fidanzati, il pesce svuotato con i denti di spillo, ero io, ero ovunque, persino nel pane caldo comprato giusto per comprare qualcosa da portare a casa.
L'abito della sposa che non sarò mai, era anch'esso mio e mi lasciava bagnata e con i brividi, ferma sulla battigia, gli occhi a cercare l'ombrellone giusto al quale tornare, desideravo l'asciugamano caldo di sole per avvolgermici dentro.
L'estate finiva quel giorno ed il pane non lo abbiamo mangiato.