Ieri sera ero a cena in un bel ristorante con una bellissima femmina di origine brasiliana, che mi curo da parecchio tempo. Insomma quella di ieri sera poteva essere la serata giusta per la giusta conclusione di tutta questa fatica. Perché, insomma, Cosimo, non essendo propriamente quel che si dice un Richard Gere, la gnocca se le deve sudare. Sembrava andare tutto bene, e già mi prefiguravo il degno epilogo – a casa gli incensi, le candele e la colonna sonora erano già pronti -, sino a che al tavolo non è arrivata la bottiglia di Metodo Classico che avevamo appena scelto insieme: un Metodo Classico TRENTODOC/Talento, di Cesarini Sforza, etichetta giallastra, uguale, a parte il colore, a quella usata per gli Charmat. Certo direte voi, pure tu Cosimo sei un bel pirla: ti porti a cena una femmina e poi cadi sulla bottiglia. Anzi, a questo punto, sull’uccello. Il fatto è che a questa bella femmina, avevo appena finito di fare una testa così sull’Aquila Reale di Cesarini; e per la verità lei aveva letto il post entusiasta che scrissi qualche settimana fa (qui) e si era incuiriosita. Dunque, il Cesarini, ieri sera, è stata quasi una scelta d’obbligo. Non conoscevo quella la bottiglia, ma mi sono fidato del del triplice brand (Cesarini Sforza – Talento – TRENTODOC). E comunque, chiaro, che dopo un’esperienza mistica come quella provata con l’Aquila Reale, uno tende a fidarsi ad occhi chiusi. In ogni caso questa era la sola bottiglia disponibile in carta della celebre maison cooperativa. Bene, arriva la bottiglia. Il cameriere la stappa con tutte accortezze del caso e ne versa il giusto per l’assaggio di rito. Annuso e vengo preso dallo scoramento; ma mi rendo conto che non ci sono difetti evidenti. Per nulla convinto e per non passare per il solito rompi palle, annuisco: il cameriere versa e ripone la bottiglia in un elegante secchiello. Dove la bottiglia resterà immobile e intonsa per il resto della serata, che da quel momento in poi è andata letteralmente a rotoli. Annusiamo di nuovo insieme: lei dice “Sembra zucchero filato, un pentolone di zucchero filato”. La guardo e annuisco. E’ vero, all’inizio il naso si riempie esageratamente di quella sensazione di tostatura zuccherosa fino allo svenimento. Poi crolla tutto e non resta niente. La stessa sensazione si ripete in bocca: una roba gnucca e corta, senza spunti e senza identità. Ed è a quel punto arriva la battuta sull’aquila sullo João de Barro. Come sia andata a finire, ve lo lascio immaginare. Nessuno dei due si è più azzardato a toccare il bicchiere. Ed entrambi ci siamo buttati sull’acqua minerale. Ma una serata che inizia con una sbornia di zucchero filato e finisce nell’acqua minerale, me lo insegnate voi, non può che finire male. E infatti è finita che abbiamo litigato ancora prima di cominciare. In culo alle fantasie che mi ero fatto. E in culo pure a qualcun altro…
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