La pasta nei film italiani: tradizione, storia e indagine sociale.

Da Aldo @AldoLissi
Quando si parla del Pel Paese (soprattutto all'estero), una delle immagini che più vengono in mente è la pasta. Alimento conosciutissimo e consolidato in ogni angolo d'Italia è sinonimo di tradizione e tipicità. La sua immagine è stata anche proposta attraverso numerose declinazioni in film molto conosciuti che ne documentano il legame profondo con il popolo italiano. A tal proposito sono tanti i lavori di registi immortali che hanno indagato questo straordinario prodotto; ne propongo qui di seguito solo alcuni che mi serviranno per affrontare la polisemia legata alla nostra protagonista. Ma prima vorrei fare una piccola introduzione storica, utile per capire meglio l'analisi successiva.
L'importanza della pasta nei sistemi economico e alimentare italiani è consolidata da secoli, tuttavia lo spazio da essa occupato aumentò a partire dal XVII secolo. Il motore di questo cambiamento fu Napoli: qui, a seguito di fattori di tipo economico, politico, ma anche ambientale e sanitario, la pasta divenne un alimento di primaria importanza per la sussistenza della popolazione. Quest'affermazione gastronomica e sociale non fu possibile in realtà senza l'invenzione e la conseguente applicazione di sistemi e macchine di produzione più efficaci che resero più facile la sua preparazione, determinando così un forte abbassamento dei prezzi del prodotto. La pasta passò così da alimento richiesto e pregiato a simbolo del popolo, veicolo attraverso il quale i morsi della fame di una fetta importante d'Italia potevano essere placati. Le dinamiche in realtà sono più complesse e sfaccettate, come dimostrano le opere cinematografiche che ora andrò a citare.
Il film "Il marchese del Grillo" è la prima testimonianza di quanto appena affermato. Film datato 1981 di Mario Monicelli ha come protagonista Alberto Sordi che veste i panni del marchese Onofrio Del Grillo, nobile romano alla corte di papa Pio VII, nel XIX secolo. Nel film l'aristocratico protagonista si divide tra ozio e gli scherzi che compie nei confronti di innumerevoli malcapitati di ogni ceto. L'opera cinematografica, nonostante presenti numerose incongruenze storiche, è una denuncia della società dell'epoca e  dei meccanismi che governavano la nobiltà papalina romana. 
Famosa è la scena in cui il marchese porta la bella Olimpia in una taverna a mangiare i rigatoni co' la pajata. Questo piatto è una specialità tipica della cucina romana povera, comprendente l'intestino lavato ma non privato del chimo in modo che, durante la cottura, possa formare assieme al pomodoro una salsa dal gusto acre e forte. Oltre alla scena goliardica una breve analisi del piatto fornisce indicazioni utili a definire il gusto di una società. Le frattaglie erano considerate scarti poco apprezzabili, rifiutate dai nobili e dagli ambienti aristocratici, ma presenti nei consumi alimentari dei ceti bassi come una delle poche fonti proteiche disponibili. L'ambiente in cui essa viene servita conferma quanto appena affermato: una taverna malfamata popolata da gente di ceto sociale basso, dalle scarse disponibilità economiche e dai modi poco galanti. La scena stride apparentemente con il titolo nobiliare del protagonista e la sua elevata appartenenza sociale; in realtà potremmo quasi affermare che è fortemente identificativa della personalità del marchese, nobile di fatto ma non certo nei modi, quasi una prova che il regista ci offre per confermare come la nobiltà non è certo nei simboli o nelle apparenze.
Della stessa epoca è un altro film: "Il Gattopardo" (1963) di Luchino Visconti che documenta con insuperabile maestria i fasti e le abitudini dei ceti aristocratici, descritti nell'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Nella trama trova un posto d'onore la cena solenne e pomposa in cui emergono tutti gli elementi caratterizzanti l'aristocrazia dell'epoca; nella scena il timballo di maccheroni è uno dei protagonisti, come del resto viene proposto nel romanzo:
"L'oro brunito dell'involucro, con fragranza di zucchero e cannella che ne emanava non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall'interno quando il coltello squarciava la crosta, ne erompeva dapprima il fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l'estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio" .
L'opera e il film documentano bene un'abitudine gastronomica e sociale durata secoli: molti alimenti erano di fatto consumati sia dai nobili che dal popolo, allora come distinguersi? Come è già stato ampiamente affrontato in altri articoli uno dei modi per differenziarsi erano gli accostamenti alimentari: associare ad un cibo comune uno o più cibi molto costosi (si pensi allo zucchero, ai tartufi, alla carne) ma, non da ultimo, anche le modalità di cottura e preparazione. Questi primi due esempi di film ci illustrano i due poli della società, con le proprie caratteristiche e ambiguità.
Facendo un salto temporale di poco meno di un secolo circa riusciremo a capire i prossimi due film proposti.
"Miseria e nobiltà" in cui figura il grande Totò e fu composto nel 1887, offre uno spaccato dell'Italia di fine Ottocento/inizi Novecento. La trama gira attorno all'amore di un giovane nobile di nome Eugenio per la figlia di un cuoco arricchito: Gemma. Il ragazzo è ostacolato dal padre, il marchese Favetti, che non poteva permettere che il proprio figlio sposasse la figlia di un cuoco. La vicenda si fa presto ingarbugliata ma si risolverà con il matrimonio tanto atteso.
Nel film Totò che interpreta Felice Sciosciammoca è protagonista di una scena altamente goliardica in cui mangia con avidità una gran quantità di spaghetti, che mette addirittura nelle tasche. La scena rappresentata è tutt'altro che banale, ma incarna la fame atavica vecchia di secoli che affliggeva il popolo, che di fronte a così tanto simbolo di benessere non poteva non cibarsene fino all'indigestione ed anzi, mettersene anche una parte in tasca. Una sapiente trasposizione della fame mai placata di Pulcinella nella commedia dell'arte.
L'ultimo film più vicino temporalmente a noi è "Un americano a Roma" del 1954, regia di Steno (Stefano Vanzina). Il film che ha come protagonista Alberto Sordi è una satira penetrante dell'Italia del dopoguerra, tra voglia di rinascita e benessere, e al tempo stesso desiderio di emulare gli Stati Uniti. La pellicola ha come protagonista Ferdinando Mericoni detto "Nando", giovane sognatore che immagina una vita come quella illustrata dai film americani, tanto da americanizzare ogni aspetto del proprio vivere, cercando di coinvolgere ogni persona che ha a che fare con lui. Nonostante le numerose disavventure il protagonista non cambierà il suo "modus vivendi" vivendo, di fatto, di illusioni. In questo caso non serve credo soffermarsi troppo a spiegare la scena in cui il giovane cede con la frase "Maccarone, mi hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno...!" alla tentazione di un recipiente ricolmo di spaghetti.
E' proprio quest' ultimo esempio che mi aiuta a spiegare come, in modi e abitudini assai diverse, la pasta abbia accomunato (e accomuna anche oggi) gli italiani di ogni ceto sociale che non sanno resistere a questo straordinario prodotto, esempio di come una necessità può diventare amore, passione, legame e cultura.
Per questo ho deciso di proporre un'elaborazione in chiave moderna di una ricetta conosciutissima e tipica: gli spaghetti alla carbonara. In questa ricetta  la salsa è una spuma calda delicata, avvolgente, ma al tempo stesso gustosa e saporita, che abbraccia gli spaghetti di grano duro saltati appena nella padella in cui ho messo ad arrostire il guanciale. Il tutto è completato da una nuvola soffice di pecorino romano.
SPAGHETTI DI GRANO DURO, PECORINO ROMANO, GUANCIALE CROCCANTE E SPUMA DI CARBONARA.


INGREDIENTI (per 4 persone)
350 g spaghetti di grano duro
25g pecorino romano
250g panna da cucina
40g tuorlo
30g parmigiano
50g guanciale
sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO
per la spuma: far bollire la panna con il guanciale (solo 20g) e lasciare in infusione coperto per 30 minuti circa. Filtrare, unire poi il parmigiano e il tuorlo e correggere di sale e pepe. Portare il composto ad una temperatura di 80 gradi C. Filtrare e porre il contenitore in acqua e ghiaccio per far raffreddare. una volta freddo mettere il composto in un sifone, caricare con la carica di gas e, dopo aver agitato bene, porre il sifone a caldo in bagnomaria (avendo cura di appurare che quest'ultimo possa essere utilizzato a caldo). Per il resto: intanto che gli spaghetti cuociono in un sautè ben caldo far arrostire il restante guanciale precedentemente tagliato a losanghe come in foto. Disporre i pezzi su carta assorbente ed eliminare l'eccesso di grasso dal sautè. Quando gli spaghetti saranno cotti farli saltare molto brevemente e comporre il piatto come mostrato in foto.


  
 

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