Tito Barbini è uno scrittore-viaggiatore (o un viaggiatore-scrittore?) che spero tutti abbiamo modo di conoscere, perché è un piacere usare i suoi libri come tappeti volanti per arrivare lontano. È anche un amico, con cui spesso ho parlato di libri e di viaggi. Per esempio della Patagonia che lui conosce come le sue tasche (giusto così, è un posto che si portava nel cuore fin dall'infanzia) e che io ho annusato solo attraverso le pagine scritte. Oppure di Bruce Chatwin, che a entrambi piace, e che pure a entrambi desta qualche perplessità.
Ora, sul suo bel blog, Tito mi lancia un altro spunto, che non posso non raccogliere, perché non solo parla di Chatwin, ma lo incrocia con uno dei libri che da sempre porto con me (pensate, letto per la prima volta per l'esame di terza media, velo pietoso sugli anni passati): ovvero Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati.
Non ci avevo mai pensato, ma la suggestione funziona e la Patagonia si arricchisce di incanto di nuovi nomi: il tenente Giovanni Drogo, la fortezza Bastiani... pensare che il film che Valerio Zurlini ha tratto dalle pagine di Dino Buzzati regala le sabbie e il vento dell'Iran...
Scrive Tito, raccontando anche la sua Patagonia:
Come Chatwin il tenente Giovanni Drogo arriva in una terra estrema. Un’esplorazione fatta di lucide visioni, di ombre, di sussulti e misteri, di miti avulsi strappati a qualsiasi riferimento storico, universali perché fuori da ogni tempo. La Patagonia come la fortezza Bastiani. La fortezza è un avamposto al confine con il deserto. La Patagonia è il deserto. E come Drogo, Chatwin arriva in quella solitudine convinto di ripartirne presto. È sicuro di sé, di avere tutta la vita davanti. Trascorreranno molti anni prima di rendersi conto che il tempo è fuggito e con esso la sua idea iniziale di Patagonia. Ho pensato spesso al bellissimo racconto di Buzzati. Vale la pena rileggerlo in queste terre, per riflettere e guardarsi dentro.
Non avevo mai pensato che le sconfinate distese della Patagonia potessero essere l'equivalente dell'avamposto che guarda altre distese, quelle che non attraversi, ma da cui un giorno potrà arrivare qualcosa (o qualcuno) che ti cambierà la vita.
Non ci avevo pensato, ma fa bene pensarci, fa bene capire che anche il viaggio può essere attesa, che dietro tanto movimento si può nascondere una strana vertiginosa inquietante immobilità.