Robert (Antonio Banderas) è un chirurgo plastico che vive da solitario nella sua bella villa. Fino a qui nulla di strano, eccetto il fatto che una giovane donna in tutina di nome Vera (Elena Anaya) vive in una delle stanze rinchiusa e sorvegliata 24h su 24. A parte le questioni omosex e transex tipiche di Almodòvar, emerge anche che la chirurgia estetica ha a che fare non solo con il corpo, ma soprattutto con l’identità di una persona, influenzandola, e non per forza in senso positivo. Non calcolando la già inutile e dannosa divisione (chirurgica!) che la nostra cultura opera tra fisico e mente, Vera non percepisce più la pelle e il corpo come propri. Lei sente semplicemente di abitarli e non si riconosce più in essi, a causa delle numerose operazioni chirurgiche che ha subito e che hanno inciso profondamente sulla sua vita e identità (sessuale e non), rendendo quest’ultime tormentatissime e disperate. Forse che Almodòvar abbia cambiato idea riguardo quella famosa frase pronunciata da Agrado in Tutto su mia madre, che dice che si è tanto più autentici quanto più corrisponde all’idea che ha di se stessi?
Ma se quell’ideale, che si ha di se stessi allo stato di perfezione, fosse un’idea che è meglio perderla che trovarla?
Non è una cosa vera che l’idea che una donna si è fatta di sé e della femminilità è qualcosa di assoluto da tenere in alta considerazione con ossessioni che conducono direttamente a chirurgia estetica e/o quotidiana disperazione. Nemmeno è vero che queste sono idee necessariamente valide e benefiche soprattutto perché, dato che non si vive in un eremo, è probabile che quell’idea/immagine sia frutto di molteplici fattori socio-culturali, che riguardano più la logica di mandare avanti l’economia (vendere cosmetici, prodotti dietetici, palestre, etc) piuttosto che le effettive logiche dell’attrazione nella vita reale. Ciò avviene inoltre sfruttando insicurezze affettivo-relazionali già presenti, soprattutto nelle donne. Forse bisognerebbe, prima di operarsi/disperarsi per mancata perfezione, sapere di più sulle origini razziste e discriminatorie della chirurgia estetica, nella cui storia spiccano le antiche operazioni per eliminare il “naso ebraico”, le “orecchie all’irlandese”, senza dimenticare quelle attuali per eliminare occhi all’orientale e naso afro. Poi perché non informarsi sui motivi della complessità del corpo femminile con il saggio “L’animale donna” (Desmond Morris) per capirne di più, a mente fredda e oggettiva? E forse a quel punto domandare a se stesse: ma ho davvero bisogno di questa vivisezione volontaria per attrarre? Seconda cosa: ho davvero necessità di attrarre il più alto numero possibile in assoluto di partners sulla faccia della terra? E se sì, per quale obiettivo? Se la risposta è semplicemente “per avere conferme”, forse c’è da scavare un po’ più a fondo dentro se stesse, dentro la propria identità e dentro la rimosse funzionalità del proprio corpo e della propria femminilità, prima di farsi macellare…