Non ci posso fare niente, amavo l'Almodovar primo periodo, quello più colorato, spagnolo e divertente, e amo altrettanto l'Almodovar maturo degli ultimi due film (Abbracci spezzati e quest'ultimo). Ha perso in colore quello che ha guadagnato in eleganza, ma sotto sotto è rimasto lo stesso.
La pelle che abito è un'adattamento di Tarantola, un romanzo di Thierry Jonquet. Il libro non l'ho letto e prima del film non ne avevo mai sentito parlare, ma pare che Almodovar lo abbia pesantemente rimaneggiato in fase di sceneggiatura. Il risultato è ottimo e potrebbe tranquillamente trattarsi di una sceneggiatura originale, perché i temi, le situazioni e i personaggi sono quelli tipici dell regista spagnolo.
Il film è stato presentato per la prima volta al Festival di Cannes, e da allora se n'è parlato parecchio, spesso a sproposito. Qualcuno lo ha massacrato e qualcuno lo ha promosso con qualche riserva, mentre trailer e recensioni lo pubblicizzavano come "il thriller secondo Almodovar", un omaggio al cinema di genere e a film come Occhi senza volto (splendido, se non lo avete visto fatelo subito).
Tutto vero fino a un certo punto, perché la pellicola è così particolare e personale che secondo me è sbagliato tentare di incasellarla in un genere che chiaramente le sta troppo stretto.
Insomma mi risparmio anche il solito riassunto della trama, un pò per le ragioni di cui sopra, un pò perché mi troverei in difficoltà a descrivere una storia così bizzarra e dallo sviluppo molto poco lineare.
Proprio questo aspetto all'inizio lascia un pò spiazzati e perplessi. La prima metà del film infatti prosegue piuttosto spedita lasciando lo spettatore in preda a tanti dubbi e con pochissime certezze. Qualcuno lamentava la mancanza di ritmo, mentre a me è sembrato addirittura troppo serrato, in pochi minuti succede l'impossibile e all'improvviso parte un flashback che contribuisce a complicare ulteriormente le cose. L'interesse però rimane sempre vivissimo e da metà film in poi tutti i pezzi vanno al loro posto, mentre ci si rende conto che la narrazione cronologicamente disordinata sta funzionando alla perfezione.
Una storia completamente folle e irrazionale che gradualmente acquista un senso e arriva alla sua conclusione più logica, non nel "colpo di scena" facilmente prevedibile già a metà del cammino, ma in tutta la sequenza finale, dove finalmente ritroviamo l'Almodovar che si fa riconoscere così bene.
Una sceneggiatura difficile gestita alla perfezione e diretta ancora meglio.
Davvero accattivante.
Buono anche il cast, a partire dalla bellissima e brava Elena Anaya (che occhi ragazzi, spero diventi la nuova attrice feticcio di Almodovar) in un ruolo non proprio facile; e si, persino l'odiatissimo Antonio Banderas mi è piaciuto, tetro e insondabile quanto si addice al suo personaggio.
Menzione d'onore anche per la tostissima Marisa Paredes e per il personaggio del Tigre, rozzo e straniante.
Bellissimo, vedetelo di corsa.