La percezione del tempo

Creato il 10 luglio 2013 da Mcnab75

Com’erano le vostre giornate prima di Internet? Ve lo ricordate?
Io sì, ma non in modo nitido. E’ quasi come se quel periodo, così vicino eppure remotissimo, abbia oramai assunto i contorni poco definiti del mito, della leggenda.
Se mi dicessero che allora, nell’epoca disconnessa, le giornate duravano 32 ore, e che il sole era violetto, forse cadrei perfino nel dubbio. E se fosse vero?
Ovviamente esagero. Però un fondo di verità c’è. I nostri ritmi di vita sono cambiati, le nostre abitudini sono stravolte, ma in modo così diffuso che… ce ne accorgiamo appena. Intenti come siamo, a correre avanti e indietro, per poi sederci davanti ai nostri computer, tutto sembra oramai così rodato, abituale e rassicurante che difficilmente cogliamo le differenze dal prima all’ora.
Ma questo ha cambiato davvero la nostra percezione del tempo? Secondo molte ricerche scientifiche la risposta è sì. In parte ne avevamo già parlato in passato, tuttavia credo sia interessante spendere due parole ancora.

Partiamo da un’altra prospettiva.
Alcuni psicologici dicono che gli spostamenti oramai veloci, anche da un capo all’altro del mondo, sono stati i primi “responsabili” della sfalsata concezione del tempo. Secondo questi ricercatori, se si dovesse ancora prendere una nave, per compiere un viaggio da continente a continente, avremmo una percezione più realistica del rapporto tempo/spazio.
In effetti i voli transcontinentali – che ho provato alcune volte in vita mia – ci proiettano in quella dimensione non-temporale in cui il mondo scorre, invisibile, sotto di noi. Basta addormentarsi qualche ora ed eccoci all’altro capo del pianeta, senza avere la reale concezione della strada percorsa.

Su Internet si può verificare questa medesima distorsione, anche se ovviamente in questo caso non sarà la percezione dello spazio a essere sfalsata, bensì soltanto quella temporale. Internet è una porta sensoriale enorme, specialmente nella sua incarnazione 2.0, con l’effetto social che ci porta davvero a interagire su più piani relazionali. Ed è bellissimo. Se vi aspettevate una condanna o qualcosa del genere, avete sbagliato articolo. Dico solo che c’è questa distorta cognizione del tempo. Se poi sia un bene o un male, questo sta a noi stabilirlo.
Zerocalcare ha simpaticamente descritto tale effetto in uno dei suoi azzeccati post a fumetti, La fascia oraria delle Bermude. Leggetelo: con un po’ di ottimo umorismo descrive il fenomeno in questione più di quanto riesca fare io a parole.
Fatto? Bene, ora ditemi se anche voi non siete finiti nella fascia oraria delle Bermude, di tanto in tanto. O, più verosimilmente, tutti i sacrosanti giorni.

Ma il dibattito sulla concezione del tempo non è certo nato solo in questa epoca moderna e frenetica. Già Seneca (1 a.C – 65 d.C) si poneva spesso e volentieri domande in merito. Come ci ricorda il sito Treccani, la questione fu affrontata per esempio nel De Brevitate Vitae:

Il De brevitate vitae è anzitutto costruito come una lunga serie di riflessioni che si snoda tra la considerazione da un lato che il tempo è uno scorrere precipitoso (tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia) e che l’uomo è nato per vivere un’età breve (quod in exiguum gignimur, br.v. 1.1); dall’altro, che gli affaccendati (gli occupati: coloro che sono sempre impegnati negli affari pubblici o nell’eccessiva e maniacale attenzione per sé) non sono liberi, non sono sapienti.

Cosa è cambiato da allora? Molto, oppure forse pochissimo. Ciò di cui dissertava Seneca è ancora attuale, anche se oggi abbiamo molti più sistemi per accorciare il tempo, riempiendolo all’inverosimile.
A questo punto non posso che concludere l’articolo con la fatidica domanda: la vostra percezione del tempo è rimasta più o meno la medesima, rispetto al passato, o qualcosa è cambiato? E se sì, come?

PS: Questo post, programmato molte settimane fa, ha dei punti in comune con l’ottimo articolo di Strategie Evolutive datato 4 aprile. Leggetelo, ne vale la pena.

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