Gli editori “più appartati” in questione sono, dopo Mondadori: Transeuropa, Pequod, Manni. La domanda è, quali sono i requisiti che una piccola, media, mediopiccola, mediogrande, piccolomedia, grandemedia, casa editrice deve avere per uscire dall’”appartamento”? La distribuzione? Il catalogo? La riconoscibilità degli autori? La fattura del prodotto? La proposizione dello stesso? È evidente che con queste coordinate non sono riuscito a darmi una risposta, anche perché il panorama è davvero molto, molto ampio.
Proprio ieri ho letto, su suggerimento di Marco Montanaro, un interessante articolo di Romano Luperini (http://www.leparoleelecose.it/?p=6562) che mi ha dato interessanti spunti proprio attorno all’idea di lavoro intellettuale; in fondo la questione è ancora aperta, dalla Generazione TQ ad esempio e dall’aumento di consapevolezza da parte degli impiegati e dei non-impiegati del lavoro intellettuale nel nostro paese. Il periodo storico, molto particolare, ha messo in evidenza il grande quantitativo, enorme, di persone che ruotano attorno a un libro, a una redazione, a un giornale, al fatto culturale.
Tengo a precisare che questo post non intende avviare discussioni o considerazioni su nulla che abbia a che vedere con gli autori, né della recensione, né del libro; la sfumatura di grigio che mi piacerebbe approfondire è di tipo antropologico-letterario, e inerisce alla “percezione”, al pour-parler che crea il concetto, a quell’area semantica in cui il giudizio di valore, pur essendo categorico, non si rifa a una categoria ben precisa ma a una somma di giudizi, appunto, percettivi; il panorama editoriale italiano è così vasto e complesso che anche gli aggettivi “vasto” e “complesso” sono minimi. Gli inserti culturali ci aiutano a definire una bussola.