Nella necropoli un piazzale coperto per le decisioni della comunità.
Nuove rivelazioni dal «Tumulo della Regina» di Tarquinia.
di Marco Gasperetti
TARQUINIA (Viterbo) - Una piccola agorà univa il mondo dei vivi a quello dei morti. Ci si arrivava, 2700 anni fa, da dodici scaloni scavati nella roccia calcarea. Spesso servivano anche come sedili per assistere a riunioni di decisiva importanza per la città e l'oligarchia etrusca che la guidava. Uomini vivi e potenti che si univano idealmente ai defunti sepolti nelle tre camere a est, nord e sud. La scalinata c'è ancora, oggi, ma è invisibile, sepolta dalla terra. «La potremo vedere molto presto - spiega l'archeologo dell'Università di Torino Alessandro Mandolesi, direttore degli scavi - toglieremo terra e detriti che l'hanno ricoperta per millenni. E chissà, forse ci saranno nuove sorprese».
Tante ne hanno già trovate i ricercatori dell'Università di Torino e dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro del ministero nell'area del «Tumulo della Regina», uno spazio ancora da esplorare dell'enorme necropoli di Tarquinia, paesaggio incantato tra mare e colline, vento di maestrale che non manca mai. Martedì e ieri gli ultimi ritrovamenti: un altro frammento, il più grande, della Sfinge, una statua di due metri collocata sul punto più alto del tumulo, ultimo guardiano per i vivi e per i morti e addirittura un'altra tomba, segretissima, ancora completamente da scavare e da preservare dall'assalto dei saccheggiatori.
Ma oggi la scoperta più suggestiva resta quel misterioso piccolo cortile (appena sei metri per quattro) scavato per tre metri nel calcare con le tre camere sepolcrali che si aprono sui tre lati chiusi e con le pareti affrescate grazie a una tecnica mai vista prima in Etruria e in tutta Italia. «L'intonaco è a base di gesso alabastrino praticamente puro - spiega l'archeologa Daniela De Angelis - una composizione sconosciuta in Italia e probabilmente importata da maestranze arrivate appositamente da Cipro, dall'Egitto o dall'area siro-palestinese, le migliori di quel mondo, per costruire una tomba straordinaria e ricchissima. Ma soprattutto utile anche per i vivi, lucumoni e governanti».
Dall'intonaco stanno affiorando affreschi atipici, probabilmente i più antichi mai scoperti a Tarquinia, risalenti anch'essi al VII secolo avanti Cristo. «La cosa più sorprendente e unica è che pare non rappresentino scene di vita ultraterrena - spiega Mandolesi - piuttosto momenti di vita quotidiana. L'interpretazione non è facile perché le immagini sono labili e le stiamo ricomponendo faticosamente mediante un processo di spettrografia elettronica. Stiamo intravedendo una mano che regge un vaso, volti, unguentari, forse vasi con profumi. Ma, per ora, neppure un riferimento all'Aldilà».
A questo punto si può dire che gli affreschi dovevano forse servire per ragioni diverse, legate alla funzione di quel cortile, una piccola agorà, abbiamo detto, e dunque un luogo di collegamento tra vivi e morti. C'è un altro particolare che rende unico questo posto: era coperto da una tettoia in legno. Gli archeologi ne hanno trovato i resti accanto a quelli di una biga. «Nei momenti più difficili della città - continua Mandolesi - ci si riunisce per cercare aiuto e conforto anche dagli antenati ormai defunti. Il piazzale serviva inoltre a onorare i morti, i più aristocratici tra gli aristocratici, con cerimonie, canti e spettacoli, insomma uno spazio teatriforme».
Gli studiosi ipotizzano che nell'area furono deposti sovrani e principi etruschi. Si hanno testimonianze leggendarie di una sepoltura di un certo Demarato di Corinto, ricco mercante greco. Si trasferì a Tarquinia intorno alla metà del VII secolo avanti Cristo, Demarato, e si sposò una nobildonna locale, la più bella della città. Nacque un figlio, lo chiamarono Tarquinio Prisco e divenne il primo sovrano di Roma.
Se storici e archeologi si interrogano (e si appassionano) sul passato, Wilma Basilissi, dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, guarda al presente dei tesori ritrovati. E custodisce, gelosamente, i frammenti delle due zampe della Sfinge etrusca appena ritrovati insieme a un'ala. «La statua, alta quasi due metri - spiega - era probabilmente collocata all'apice del tumulo. L'abbiamo trovata nella parte nord. Probabilmente è caduta e si è frantumata. Altri animali mitici la circondavano. E lo spettacolo doveva essere straordinario, 2700 anni fa».
Fonte: Archeorivista