La piccola isola made in Japan

Da Calcioromantico @CalcioRomantico

Non solo i giganti Honda e Toyota, non solo la volenterosa Super Aguri. Nella piccola schiera delle scuderie giapponesi che abbiano partecipato ad almeno un gran premio iridato c'è anche la sconosciuta Kojima. È il 1976 e il circus per la prima volta sbarca in Giappone, al Fuji, per l'ultima gara della stagione. La Honda si è ritirata da un po', in Toyota non si pensa alle gare automobilistiche e l'unica portabandiera giapponese è la Maki che nelle ultime stagioni ha provato senza successo a partecipare a un gp mondiale: a Zandvoort nel 1975, l'unica volta in cui la qualificazione era impossibile da mancare perché gli iscritti erano meno dei posti disponibili in griglia, Hiroshi Fushida non riesce a partire a causa della rottura del motore.

L'occasione del Fuji va dunque sfruttata bene. Così il tecnico giapponese Masao Ono costruisce una monoposto per la scuderia di Matsuhisa Kojima, da qualche anno impegnata nelle formule minori del sol levante con telai di derivazione March. La vettura messa in piedi da Ono  è ispirata alle migliori macchine del lotto e non propone novità tecniche. Monta invece gomme Dunlop in mezzo al monopolio Goodyear. Un bel Ford Cosworth in quegli anni non si nega a nessuno e Masahiro Hasemi è pronto per le prove del gran premio. La conoscenza del circuito viene sfruttata dal pilota di casa che riesce addirittura a strappare un decimo posto in griglia. Il giorno dopo, però, diluvia e i piloti non vorrebbero correre. Brambilla, Stuck, Hasemi e gli altri due giap qualificati invece sì. Anche l'emergente Bernie Ecclestone, manager della Brabham e anima della FOCA (la federazione che riunisce i costruttori inglesi), è per non fermarsi e alla fine convince gli organizzatori a posticipare la partenza. Due ore e mezza più tardi parte la gara. Mentre Lauda si rifiuta di proseguire dopo il primo giro e Hunt cerca in pista i punti che gli permetteranno di scavalcarlo in classifica generale, la Kojima naviga con tranquillità nella pancia del gruppo in omaggio al suo nome che si può leggere come "piccola isola".

Al traguardo Hasemi si classifica undicesimo e viene accreditato del giro più veloce in 1'18"23. Un miracolo delle gomme Dunlop! No, più propriamente un errore perché evidentemente anche i cronometri soffrono l'acqua: pare che nel giro in questione (il 25°) Hasemi sia addirittura scavalcato da vetture che lo seguono! La cosa buffa è che la federazione giapponese ammetterà successivamente l'errore, assegnerà il giro veloce a Laffite (1'19"70, un secondo e mezzo più lento del fantomatico giro di Hasemi), ma non comunicherà la sua rettifica alla FIA.

Il buon risultato non convince però la Kojima a fare il grande passo e così la seconda partecipazione si ha in occasione del Fuji bis, ultima gara del Mondiale 1977. Questa volta le piccole isole sono due, una per Kazuyoshi Hoshino e una per Noritake Takahara. Hoshino ripete quasi in fotocopia l'exploit di Masahiro Hasemi, classificandosi undicesimo in prova e al traguardo, mentre Takahara parte diciannovesimo e non riesce a finire il secondo giro. Ma anche questa edizione del Gran Premio del Giappone non scorre via come dovrebbe: il quasi deb Gilles Villeneuve si scontra al quinto giro con la Tyrrell di Ronnie Peterson e vola in una zona dove non ci dovrebbe essere nessuno e invece c'è pubblico. Le morti di un fotografo e di un commissario di pista pesano sulla decisione del circus di abbandonare il Fuji per gli anni a venire. Per la Kojima è la fine di una breve ma intensa carriera in Formula 1. La Kauhsen prima, Keke Rosberg dopo proveranno a utilizzare i telai giapponesi, ma mai in una gara valevole per il Mondiale. Il Giappone dovrà così aspettare qualche anno per ritornare protagonista in pista e qualche decennio per riavere una monoposto targata sol levante e senza molte pretese salutare dalle retrovie.


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