La dottrina dell’austerità è una necessità in presenza della moneta unica e al tempo stesso è divenuta un progetto politico per ottenere una messa in mora della democrazia, come vogliono i centri finanziari: solo gli ingenui e i venditori di fumo possono pensare che la constatazione dei suoi effetti deleteri possa aprire un ripensamento. Anzi ad ogni fallimento si fa sapere che esso deriva dal fatto che non si è tagliato e svenduto abbastanza, non si è umiliato a sufficienza il lavoro, non si è eliminato abbastanza welfare. Draghi docet.
Così accade che sotto la sferza degli insuccessi il primo ministro francese Valls presenti le dimissioni sue oltre che dell’intero governo e che Hollande gli dia immediatamente il reincarico perché prosegua ” sugli orientamenti già da lui definiti per il Paese”. Poche parole per far intendere che dovranno essere esclusi dalle poltrone ministeriali proprio quelli che sono contro le dottrine austeritarie, in primis Arnaud Montebourg il quale proprio nei giorni scorsi aveva sostenuto che l’austerità era alla radice dell’aumento della disoccupazione. Anzi secondo alcune indiscrezioni Valls – esponente della socialdemocrazia più tiepida e ambigua -avrebbe posto Hollande di fronte a una scelta o me o la pattuglia dei socialisti più a sinistra, tra cui Benoit Hamon, Aurelie Filippetti,e Christiane Taubira. Insomma i detentori dei ministeri dell’innovazione, della scuola, della cultura e della giustizia. Il presidente ha fatto la sua scelta, non si sa quanto in solitudine: lui, Valls e l’austerità.
Certo, non tutto il male viene per nuocere: almeno si sgombra il campo sulla quale vivacchia buona parte della nostra intelligentia, dalle ipotesi inconsistenti di un fronte dei piigs, come leva per un cambiamento di passo per non dire addirittura di un’altra Europa. Adesso sappiamo che sono sempre più favole.