Dalla raccolta di Novelle "Le Verità Nascoste"
La più bella sono io!
E’ una storia antica: la bellezza ed il fascino innocenti ed inconsapevoli e l’invidia livida di chi si vede narcisisticamente bella senza quell’aura data dai gesti, dall’espressione del viso, dovuta ad una interiorità che traspare attraverso essi e di cui il soggetto è ignaro e, per questo, più affascinante.Il mito di queste due figure è espresso persino nelle favole, per mettere in guardia indifese fanciulle dagli strali dell’invidia di chi vuole, a tutti i costi, prevalere: ed ecco l’ingenua Biancaneve e la fin troppo consapevole Grimilde, ecco la mite ed umile Cenerentola non consapevole della sua bellezza esteriore ed interiore di cui, invece, sono perfettamente consapevoli la sua matrigna e le due sorellastre. Le ingenue belle, senza farlo apposta, infliggono con i loro gesti innocenti tremende frustrazioni alle Narcise, rendendole involontariamente ridicole nel loro volersi mettere sempre e comunque in mostra.Fu così che su una spiaggia mi capitò di vedere la seguente scena: una giovanissima mamma, con un bel viso espressivo, un corpo magro e delle bellissime gambe, se ne stava sotto l’ombrellone accanto alla sua piccola che dormiva all’ombra in una grande cesta. Quella che, dallo scambiarsi delle frasi fra loro, doveva essere sua cognata era molto più in carne, giovane anche lei, ma senza quel po’ di ancora acerbo ed adolescenziale che aveva addosso la mammina, nonostante la maternità. Nonostante le premure per la nipotina, traspariva dalla cognata una sottile ostilità, che si percepiva dal modo in cui si rivolgeva alla mammina. Il tono era di assoluta sicurezza e supremazia, con gesti di grande vanità nell’aggiustarsi il costume, nel riavviarsi i capelli… Mentre l’altra dimostrava la mitezza di chi non vuole conflitti e, invece di inalberarsi alle inutili attenzioni verso la bimba dormiente ed alle altrettanto inutili lezioni che la cognata le dava su come la bimba doveva stare, le rispondeva smussando i suoi subdoli appunti con frasi gentili, senza far trasparire alcun fastidio e senza sottolinearne la gratuità.La superba aveva un bel volto ma gambe grosse e non perfette come quelle della mamma-adolescente, la linea del suo corpo, non brutto, risultava imperfetta ed il punto di vita un poco largo. Lei però doveva sentirsi bella, anche perché una donna anziana, presumibilmente sua madre, glielo ripeteva in continuazione, come se fosse una bambina da vezzeggiare e, seduta su di una sedia sotto il medesimo ombrellone, la guardava con un sorriso compiaciuto, che risultava imbarazzante per l’osservatore, giacché, come tutte le cose esagerate sfiorava il ridicolo.Ad un tratto la giovane in carne si irrigidì in una posa plastica, come di chi deve fare una foto. Con una mano si riavviò i capelli, poi la mano tornò a tenersi il ginocchio della gamba che aveva piegato in una posa innaturale. La schiena era dritta in una postura scomoda, visto che era seduta sulla sabbia. La guardai: aveva alzato il breve collo e guardava fintamente il mare appena di lato. Spostai di poco lo sguardo e capii la ragione di quell’improvviso tendersi in quella posa innaturale e leggermente ridicola: qualche metro oltre il loro ombrellone, vicino alla battigia, un giovane uomo dalla barba bionda guardava verso quell’ombrellone insistentemente. La Narcisa, convinta senza dubbi che guardasse lei, si era messa in posa in tutta la sua presunta avvenenza.
Di quella strana posa e dello sguardo fintamente perso verso il mare piatto di Ostia, si era accorta anche la mite mammina che, meravigliata, seguì il mio stesso sguardo e vide l’uomo che guardava dalla loro parte: si riconobbero e, lui, invogliato dal suo sguardo che lo aveva riconosciuto, si avvicinò all’ombrellone con un timido sorriso sulle labbra. La cognata della giovane mamma lo guardò quasi allarmata, considerandolo ancora un ammiratore della sua bellezza, ma grande fu la sorpresa sul suo viso irrigidito dalla constatazione che quello, ignorandola, rivolse il saluto alla bella mammina dandole del tu, segno inequivocabile che la conosceva e che, dunque, era a lei che erano rivolti i suoi sguardi.