La poesia e la mancanza di gusto di una campagna di marketing. Una riflessione di Francesco Terzago

Creato il 17 febbraio 2014 da Criticaimpura @CriticaImpura

Di FRANCESCO TERZAGO

Qualche giorno fa, controllando la mia casella di posta elettronica, mi sono imbattuto in una imbarazzante, sciagurata e-mail promozionale: era Tre, l’operatore di telefonia mobile. Mi ha talmente stupito la mancanza di gusto di questa campagna di e-mail marketing che ho deciso di condividerne sul mio blog uno screen-shot. Lo definirei – come si suole fare ora – un epic fail. Utilizzo il condizionale perché, come vedremo più avanti, potrebbe nascondersi una volontà diabolica dietro a quello che sembrerebbe un prodotto pacchiano, dilettantesco, mal riuscito. La pubblicità è la seguente:

Non mi è dato sapere a chi Tre abbia affidato questa campagna promozionale (e non voglio nemmeno saperlo) né, soprattutto, chi abbia potuto approvare la diffusione di questo materiale.

In ogni caso le osservazioni che mi sento di fare a questo punto sono due.

1) Le persone che si sono occupate di questo progetto di comunicazione potrebbero essere inesperte (almeno, spero che lo siano), così inesperte da compiere errori imperdonabili come scrivere: “perchè” in luogo di “perché” o quattro puntini di sospensione anziché tre. Il lettering sembrerebbe frutto di principianti – sono riusciti a utilizzare uno dei font più brutti della storia [Poesia] – tanto brutto da far sembrare il Comic Sans degno di essere impiegato come carattere esclusivo della Gazzetta Ufficiale, dei Meridiani Mondadori o per gli atti di un convegno di design dedicato allo Swiss Style (vi prego fatelo!). Hanno usato: grassetto, corsivo e sottolineature riuscendo a sovrapporre – in più di un’occasione – almeno due di questi stili, per non parlare dell’utilizzo ‘disinvolto’ di verde, nero, grigio e bianco… E hanno fatto tutto questo rivolgendosi a un pubblico che, almeno in teoria dovrebbe essere molto sensibile a tematiche quali: l’ortografia e l’eleganza tipografica.

2) È anche vero che nel nostro paese è molto diffusa l’opinione che chi si occupi di poesia sia spesso un semi-analfabeta, così diffusa che in più di una occasione ho desiderato che per quella che è una delle attività più importanti per la mia vita potesse esistere un appellativo differente. Se è vero che in Italia milioni di persone si dichiarano apertamente ‘poeti’ la situazione dell’editoria che si occupa di questo genere letterario non è delle più floride e questo, come molti hanno già avuto occasione di dire, è il sintomo di una grave malattia – scrivere poesia senza leggere poesia è di per sé possibile ma scrivere poesia senza essere curiosi nei confronti della poesia no. Parliamoci in modo franco, la maggior parte di coloro che si definiscono poeta sono persone che, dopo essersi imbattute nell’opera di Giuseppe Ungaretti, hanno pensato “be’, ma che ci vuole, anche io posso scrivere ‘ste cose qua” – peccato che come diceva Bruno Munari in ‘Verbale Scritto’ “Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima” e nel nostro caso validi epigoni non sono pervenuti. Quando si parla di poesia, ‘rifare’ è tutt’altro che scontato e così ci si imbatte nella produzione non-poetica di persone le quali credono che lo scrivere sia una posa, una condizione di ispirazione perpetua (o il sussurro di demoni), non sacrificio, non duro studio, non esercizio costante, delle nostre capacità linguistiche e del nostro spirito. Loro, i non-poeti, credono che il poeta sia ‘parametrizzabile’ e che il risultato dei suoi sforzi risponda ai linguaggi della società dei consumi – e questo, troppo spesso, coincide con produrre molto, produrre male - a pensare la poesia come un qualsiasi prodotto, come un flacone di sapone intimo.

Se il mestiere del dottore conduce a esiti evidenti, anche agli occhi della società della misura (pensiamo all’enorme successo riscosso dalla chirurgia plastica), per la poesia, e per il poeta, la situazione si complica in modo notevole. Popolarmente, il poeta è un individuo capace di ‘rifiutare’ le costrizioni di una vita blasé immergendosi in un’esistenza dei sensi, dei sentimenti, esaltando quanto ci distingue dal mondo della misura e dell’econometria, cercando rifugio in una dimensione interiore (e talvolta anti-sociale) dove vi sono ancora cose che non possono essere monetizzate – non cadiamo nell’errore che il poeta sia un soggetto estraneo alla comunità, è il suo desiderio di comunanza, un’empatia per l’umana ventura che, per assurdo, lo allontana dalla società moderna, che è distacco e costringe gli uomini a ricercare la loro sicurezza nell’accumulazione di capitali in quanto abbiamo eletto l’avidità a valore. Così il problema che ci troviamo a fronteggiare è il seguente: qualcuno potrebbe essere portato a credere che quelle che ho appena descritto siano cause, non conseguenze – capita allora che chi si avvicini alla poesia con il tentativo di comprenderne le caratteristiche profonde non faccia altro che utilizzare quegli strumenti d’analisi a lui stesso forniti da una vita metropolitana. Questa prospettiva di indagine è sbagliata e conduce all’insuccesso, a un insuccesso bruciante – la poesia non può essere soggetta a forme di valutazione che ne considerino esclusivamente la superficie, che non prendano in considerazione quegli elementi che hanno condotto il poeta a maturare certe convinzioni e uno stile  – i non-poeti s’assomigliano tutti perché la loro produzione è produzione in serie, prodotto automatizzato, industria, lampadina, vergogna prometeica. Chi si avvicini alla poesia senza i necessari strumenti critici, senza una purezza d’animo, senza umiltà e amore per le cose del mondo e le persone  penserà che per scrivere poesia sia sufficiente indossare la maschera del poeta.

Questo lungo preambolo aveva lo scopo di farvi comprendere come una pubblicità come quella presa in oggetto in questo breve scritto possa essere il frutto di un fine ragionamento. Mi spiego meglio: potrebbe rivolgersi, questa pubblicità, proprio a quelle persone che vedono la poesia come una pratica catartica e auto-assolutoria, una sorta di auto-terapia, hobby, sfogo, e non certo come un indirizzo della loro vita spirituale, laddove invece le scelte del poeta sono radicali, il suo tentativo di rifiuto dell’homo faber e della ‘Società dello spettacolo’ è autentico, genuino, verace. E queste persone, i non-poeti, sono la maggioranza, ovvero il 95% di coloro che dichiarano di essere poeti, di fare poesia, di amare la poesia.