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La Poesia Visiva in Italia, 3: Franco Verdi

Da Vuessegaudio

Alessandro Gaudio
La Poesia Visiva in Italia, 3: Franco Verdi

La contiguità tra immagine e parola  in Franco Verdi 3. Franco Verdi (1934-2009), pur nel suo isolamento e nelle sue modalità operative semiprivate, – a detta dell’Apicella – avrebbe certamente rinunciato al disimpegno, al «quieto godimento», al «provvisorio assaporamento», servendosi efficacemente del mezzo della satira. È il caso, ad esempio, della sua Poesia gastronomica, fatta da «barattoli che contengono conchiglie, pezzi di meccanismi, giocattoli di plastica, materiali fossili, di colori varî e accesi. Si tratta – continua la semiologa – di comuni barattoli di marmellata, o da sottaceti, chiusi da un coperchio a scatto e morsa, di una molla di ferro dolce: ma sono remotissimi dalla pop-art, dai pollastrini artificiali su falsi spiedi, dalla satira gastronomica al consumismo di serie, che vuole essere la satira ad un costume e ad una civiltà». Il bersaglio dell’atto derisorio di Verdi è costituito, piuttosto, dalla poesia come atto disimpegnato, quella che «non partecipa del tempo, ma si infossa in barattoli, che diviene gioco, passatempo, tecnica sillabica, preziosismo salottiero»7 L’azione diretta dell’immagine è surrogata dalla ricchezza linguistica ed espressiva dell’atto di parola che, dunque, rispetto alla prima, è metaforico ma, nel modo qui precisato, non meno efficace8 Verdi confermerà questa posizione all’interno di uno scritto dal valore programmatico, pubblicato nel 1978 su «Quinta Generazione », rivista che promosse un dibattito su Realtà e veggenza. I passaggi più significativi della risposta di Verdi riguardano l’idea di compromissione che – secondo il poeta – pervade ormai il rapporto tra arte e critica, la necessità di accordare una funzione preminente all’espressione e, soprattutto, la connessione tra le condizioni formali di produzione e il contesto storico-politico9 Per comprendere pienamente il modo in cui funzionano i processi simbolici messi in atto dal poeta veronese, credo che valga la pena insistere sull’assenza di discontinuità tra materia dell’opera e immagine che caratterizza il suo lavoro, ma anche sulla contiguità di immagine e parola (e, transitivamente, di parola e materia): si prefigura, così, un tipo di oggetto che si potrebbe definire attivo, in quanto è in grado di sollecitare tanto la percezione quanto, grazie a un continuo processo di deformazione del segno, l’immaginazione del fruitore: già nel ’67, Verdi aveva sentito come essa fosse insufficiente e improduttiva nell’uomo di oggi: è quanto il poeta rivelava nel primo punto di un decalogo, inserito nel catalogo dell’importante esposizione internazionale di Poesia Visiva, denominata Segni nello spazio, tenutasi a Castello di San Giusto10. Nel prosieguo del suo scritto, il poeta veronese si concentrava su alcune contrapposizioni fondamentali che avrebbero potuto trovare una risoluzione in seno alla poesia sperimentale: la prima riguarda il conflitto tra le idee e le relazioni complesse (che non troverebbero spazio nella nuova poesia) e la concezione divisa dell’Io: «non causalità ma possibilità, non monologo ma dialogo, non chiusura ma apertura»; la seconda prevede la fusione (spesso inedita e, dunque, ancora una volta complessa) di elementi verbali e visuali: il fatto grafico è costitutivo del discorso poetico; la terza teorizza l’interdisciplinarità della poesia sperimentale: «poetica, critica, estetica sono momenti interdipendenti nell’operare artistico»; l’immaginazione (che deve essere produttiva), nella quarta contrapposizione, è adeguata al tempo storico e, se opportuno, pronta a rinegoziare i suoi fondamenti11 È molto evidente negli scritti dei poeti visivi più accorti, e in quelli di Verdi tra questi, la necessità di non trascurare la dimensione teoretica del proprio lavoro: essa diviene indispensabile per distinguere, in seno alla Neoavanguardia, coloro che nelle loro opere versano un impianto di riflessioni (un criterio preliminare) coerente, meditato e, dunque, motivato (e di solito ciò avviene in quei poeti visivi che hanno alle spalle un passato da poeti), da chi invece (e sono i più), privo di qualsiasi preoccupazione di ordine, propone semplici imitazioni a un pubblico di critici e di mercanti, il più delle volte, colpevolmente compiacenti. È quanto rileva lo stesso Verdi in uno scritto del 1971, ribadendo il ruolo fondamentale che critica, poetica ed estetica detengono nell’arte d’oggi e prendendo le distanze dagli epigoni della Poesia Visiva: «per un Petrarca, – lamenta l’artista – qualche centinaio di petrarcheschi, per un Mallarmé qualche centinaio di poeti visivi o visuali od altro»12
 6 Ead., Publit-Eros, in F. Verdi, Waves, Walls, Stripes, Catalogo della mostra personale tenutasi nel 1982, presso il Centro Verifica 8 + 1 di Venezia-Mestre (Verona, factotum-art, 1982). 7 Ead., Poemi gastronomici, in ibidem 8 Su posizioni simili M. D’Ambrosio, Waves, in ibidem 9 Cfr. F. Verdi, [Risposte al questionario], in «Quinta Generazione», VI (novembre- dicembre 1978), n. 53-54, pp. 100-106. 10 Id., Sulla poesia sperimentale, in Segni nello spazio, Catalogo edito dall’Azienda Autonoma di Soggiorno di Trieste per l’esposizione internazionale “Segni nello spazio” (Castello di San Giusto, 8-31 luglio 1967), p. 15. 11 Cfr. ivi, pp. 15-16. 12 Id., Annotazioni a «Preliminari ad una lettura» di Hans G. Helms e «Notizie sul testo visivo» di Ferdinand Kriwet e traduzione dei due saggi, «Il Cristallo», XIII (1971), n. 1, p. 143. ·[da: A. Gaudio, Mai bruciati dalla CosaParole, figure e oggetti dell’inattualità alle origini della poesia visiva in Italia«Critica Letteraria», a. XXXIX, fasc. III, n. 148, settembre 2010, pp. 592-611] ·


La Poesia Visiva in Italia, 3: Franco Verdi

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Franco Verdi, Il mondo è tutto elasticità(con lettera a
V.S.Gaudio)


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