La poesia visiva in Italia, 6 • Da Spoerri a Claudio Costa e dai public poems di Arias-Misson a Sarenco, Verdi e Miccini

Creato il 12 agosto 2012 da Vuessegaudio

Alain Arias-Misson, The public poem book, 1977: cm 21x26


ALESSANDRO GAUDIO ·Dall' Arte Povera di Claudio Costa  al futurgappismo di Sarenco oppure dalla Eat Art di Daniel Spoerri  ai public poems di Alain Arias-Misson


6. Si è accertato che la Poesia Visiva, nella sua fase iniziale, cerchi il suo fondamento nella ricaduta sul reale. Le strade tentate dai primi interpreti del movimento, non soltanto in Italia, convergono verso la realtà seguendo, in fin dei conti, due strade principali, segnate da alcune importanti esperienze artistiche, non sempre conformi, però, a quell’impostazione anti-dadaista che sembravano voler perseguire. La prima è praticata da artisti come Aubertin, Kolar, che

Daniel Spoerri
Le dictionnaire fixé, 1960, cm 50x50

ho già citato, ma ha un suo ascendente obbligato in Daniel Spoerri e, in Italia, nel work in regress di Claudio Costa; essa prevede il recupero delle possibilità estetico-figurative di oggetti materiali di varia natura. Aubertin compie esperimenti artistici realizzando quadri viventi che uniscano l’energia fisica del fuoco (spesso innescata dallo spettatore stesso) al valore simbolico dell’oggetto bruciato (elenchi telefonici, libri), al fine di prendere le distanze dalla cultura tradizionale. L’azzeramento della tradizione lascia spazio al niente, a uno spazio virtuale, bianco, ideale che contrasta apertamente il recupero dell’oggetto cui mirano i poeti visivi e finisce per ribadire un concetto di arte fine a se stessa. Kolar è un rappresentante della poesia evidente, sinonimo – secondo Sarenco – di poesia materiale: essa consiste nel sottrarre o aggiungere a famosi dipinti alcuni elementi (oggetti, individui, alberi) o nell’isolare vedute particolari di una stessa opera e di giustapporre le sue diverse versioni così ottenute in successione, come se fossero fotogrammi di una sequenza (o parole che compongono una nuova frase) che, però, non si sa bene da quale fotogramma (o da quale parola) abbia avuto inizio; tale principio di destrutturazione del linguaggio è quello tipico della poesia concreta e mira alla creazione di uno spazio attivo all’interno del quale ogni fruitore (così come l’autore) può operare direttamente sul senso dell’opera, seguendo tuttavia criteri di lettura non abitua- li. Credo che l’opera di Kolar sia per certi versi accostabile alla Eat Art del rumeno Daniel Spoerri che, nel corso degli anni Sessanta, aveva mosso un vero e proprio atto di sfida alla tranquilla civiltà dell’immagine, mediante gli scherzi iconoclasti dei suoi Tableauxpiège o dei Détrompe l’oeil: la tavola imbandita, i resti della colazione, gli oggetti aggiunti a un ritratto anonimo, un’antica cornice si sostituiscono alla tavolozza, capovolgendo esemplarmente il senso dell’iconografia borghese23. Un’operazione che, come quella condotta pochi anni dopo da Claudio Costa, c’entra poco con il passaggio

Claudio Costa

Analisi su tre oggetti dell'Agricoltura terrestre

Claudio Costa
Il buio come dimora del Mistero

Claudio Costa
Buscar duende, 1978: cm 30x30

dall’oggetto alla sua definizione linguistica. Nel caso del Work in regress di Costa non si può più parlare di tendenza a un uso ironico o straniante dell’immagine, in quanto i suoi lavori mirano al recupero della funzione ancestrale dell’oggetto materiale. Il tentativo di Costa, che si rifà comunque al ready made duchampiano e fruisce degli approdi dell’Arte Povera, è finalizzato al superamento dell’avanguardia per l’avanguardia che, a partire dall’inizio degli anni Sessanta, è piuttosto incline al work in progress. Restando nell’ambito dell’idea- invenzione, inventando cliché fini a se stessi, essa non riuscirebbe ad agganciarsi al tempo storico. La proposta dell’artista genovese (ma, come detto, nato a Tirana), «pratica e coerenza di vita» e invito a studiare il passato, consisterebbe in un tentativo di prendere coscienza, attraverso il recupero dell’oggetto materiale (argilla, legno, badili, picconi, madie per il pane, corni, letame), che esiste un’origine delle idee, così come un’origine dell’uomo24 La seconda strada è quella percorsa da Sarenco; mentre all’estero è Alain Arias-Misson il principale interprete di questa vena artistica che privilegia l’impiego della poesia visiva come messaggio politico. I public poems dell’artista americano sono – secondo quanto sostiene egli stesso – «enactment[s] of language-fluid, enmeshed in the real street processes»25: di fatto, si tratta di sagome di lettere, parole, segni d’interpunzione, simboli grammaticali grandi come uomini che vengono trasportati lungo le strade da un poetry-team (e interpretate dagli stessi passanti) e che sottolineano alcuni aspetti del tessuto (o del testo) cittadino: attraverso essi, da virtuale che era, il senso della città (anche quello potenziale) viene esplicitato, portato a livello enunciativo, realizzato. I poemi pubblici rappresentati tra la fine degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo nelle strade di Madrid, Bruxelles, Milano, Pamplona, Amsterdam, New York, Bonn sono (un po’ paradossalmente) riprodotti nel fascicolo citato di factotumbook ed è qui – come ammette lo stesso artista – che si estingue la loro carica poetica poiché, precisa, nella città essi dovevano fare i conti con la disattenzione e l’alienazione dei cittadini e, dunque, non sono mai esistiti se non all’interno del libro e tra questo e la strada sono destinati a oscillare. Largamente esemplificativo delle convinzioni di Sarenco in fatto d’arte è il concetto di futurgappismo26. All’interno del secondo numero della rivista illustrata d’avanguardia «factotum-art» erano inseriti quattro comunicati, cui avrebbero fatto seguito altri due presenti sul numero successivo, uscito nell’agosto del ’78, che consentono di definire il senso di futurgappismo e la portata di un fenomeno giocatosi e subito esauritosi tra le convinzioni di Sarenco e le tante contraddizioni di altri suoi interpreti; è indubbio, poi, che una tendenza artistica che, per esprimere aspirazioni o velleità nuove, si nomina con vocaboli risalenti a vari decenni addietro, non si può dire che prometta bene. Il vocabolo campeggia ed è preponderante sia

Sarenco
Tragicamente strappato, 1974: cm 30x40

sul piano concettuale sia su quello visivo su ciascuna delle sei circolari27 Ogni intervento diventa, così, un manifesto di denuncia che si oppone (già graficamente) alle logiche della grande editoria. La parola risale, dunque, al 25 aprile 1978, data del primo aggressivo comunicato, pubblicato da Sarenco sul numero 2 di «factotum- art»: è lui stesso a spiegare l’etimologia della ‘parola-macedonia’ futurgappismo che, da sola, chiarisce lo spirito battagliero che animava tutte le attività a essa connesse: si tratta di un composto a doppia testa (futurismo gappista o gappismo futurista?) formato da due sostantivi: futurismo, termine creato – com’è noto – da Marinetti nel 1909 e qui inteso come «attacco culturale e fisico contro il “passatismo”, contro i critici d’arte, da considerare “inutili e dannosi” », e gappismo, neologismo (nessun vocabolario storico lo registra) derivato da gappista, a sua volta dall’acronimo GAP (sigla dei Gruppi di Azione Partigiana, commandos costituiti da partigiani guidati dal Partito comunista e subordinati a questo e alle Brigate Garibaldi) e che rimanda alla guerra di resistenza condotta in città contro nazisti e fascisti all’indomani della costituzione, nel settembre 1943, della Repubblica Sociale Italiana; questa lotta era portata avanti cercando di smuovere, servendosi di qualunque mezzo, l’opinione pubblica e nella convinzione che ogni attendismo avrebbe prolungato il dominio nazifascista. Dal canto suo, Sarenco ripropone pressappoco il modello militare della brigata (cui si stava rifacendo anche la “F.T. Marinetti Brigade” di San Francisco, nonché altri gruppi di artisti operanti negli Stati Uniti a New York, a Philadelphia e in California), per minacciare un «attacco fisico contro i criminali fascisti, contro le spie ed i delatori, da individuare e freddare nei loro giacigli familiari ». La linea propugnata da «factotum-art», pur cogliendo qualche spunto terminologico dal Boccioni di «Lacerba», dal Carrà di Guerrapittura o dai chimismi di Soffici, si sviluppava autonomamente secondo problematiche prevalentemente visuali, sorte – come si è già accennato – negli anni della seconda guerra mondiale e che superavano di molto le ‘parole in libertà’ o l’’aeropoesia’28. Così, alla base del Futurgappismo («sintesi di due “movimenti”»), sembra esserci una marcata intenzione ossimorica (voluta o inconscia?): da un lato, il futurismo, con tutto il suo rivoluzionarismo, che dal punto di vista politico era ben di destra, tanto che si amalgamò benissimo con il fascismo; dall’altro, il gappismo che, al contrario, era di sinistra. Pur non disdegnando il riferimento anche frequente alla storia dei movimenti artistici, esso (esplosiva conciliazione di opposti estremismi) diventa «un modo di operare degli artisti rivoluzionari contro le mafie culturali (chiara espressione del governo culturale nazionale) per l’instaurazione della dittatura delle avanguardie artistiche proletarie». Sarenco si schierava dalla parte di tutti gli artisti marginali (ma non «così emarginati da ritenersi sconfitti») e, in particolare, perorava la causa dei poeti visivi accomunati dallo spirito battagliero del periodico che guidava: tra gli italiani, non è possibile non citare Eugenio Miccini (alcune sue azioni “futurgap- piste” comparvero sul quinto fascicolo di «factotum-art») e ancora Franco Verdi, entrambi particolarmente dinamici nel proporre giustificazioni teoriche al loro modo di intendere l’arte e valutazioni mai compiacenti nei confronti degli operatori della Neoavanguardia meno motivati e, soprattutto, dei mediatori della cultura di massa.
22 R. Apicella, Alla scoperta della idoglossia semantica o pseudoasemantica, Pieghevole della mostra personale omonima, Venezia, il Canale, 1977. 23 Per tutti i riferimenti agli autori citati in questa sezione si rimanda a Bernard Aubertin, factotumbook 5, Calaone-Baone, factotum-art, settembre 1978, Jiri Kolar, factotumbook 9, Calaone-Baone, factotum-art, ottobre 1978, Claudio Costa. Work in regress, factotumbook 13, Calaone-Baone, factotum-art, gennaio 1979 e Daniel Spoerri. L’arte in trappola, factotumbook 29, Calaone-Baone, factotum-art, marzo 1981. 24 Cfr. [Intervista di Sarenco a Claudio Costa, rilasciata a Genova il 22 dicembre 1978], in Claudio Costa, cit. 25 A. Arias-Misson, The Public Poem – Prologue, in Alain Arias-Misson. The public poem book, factotumbook 11, Calaone-Baone, factotum-art, dicembre 1978. 26 Sul movimento e la fortuna della parola, si veda anche A. Gaudio, Futurgappismo Il futuro mancato del futurismo in una parola, cit. 27 I manifesti vennero riprodotti sul fascicolo 21 di factotumbook, intitolato Futurgappismo 1, curato da Vittore Baroni e Carlo Battisti e pubblicato nel giugno del 1979. 28 Cfr. C. Belloli, Poesia visuale, oggi, in Segni nello spazio, cit., p. 10
·[da: A. Gaudio, Mai bruciati dalla Cosa. Parole, figure e oggetti dell’inattualità  alle origini della poesia visiva in Italia«Critica Letteraria», a. XXXIX, fasc. III,  n. 148, settembre 2010, pp. 592-611] ·

Alain Arias-Misson, The public poem book

Alain Arias-Misson, Freude!




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