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La Politica Culturale della Sinistra è ancora “di sinistra”? No, è in ginocchio davanti ad Arvedi, al vescovo, alla Tamoil etcetera etcetera. Il Pd di Cremona fa paura

Creato il 19 giugno 2013 da Cremonademocratica @paolozignani

Il Pd di Cremona ha rinunciato totalmente alla propria indipendenza e al proprio orgoglio, con qualche eccezione da parte delle consigliere comunali. Un partito che di fronte ai numerosi casi di indigenza non propone un’alternativa alla costosissima macchina di finanziamento delle cooperative cattoliche ma al contrario candida il giovine che rappresenta il mondo cattolico (di per sé autonomo) che partito è? Conservatore al massimo grado, anzi reazionario e molto temibile. Il Fatto Quotidiano vuole realizzare un breve servizio tv sulla Tamoil e chi intervista? Sergio Ravelli, radicale che non ha cambiato i propri princìpi, Gino Ruggeri che si è costituito parte civile al posto del Comune sottomesso ai libici sotto processo per inquinamento, che non hanno neanche molta voglia di bonificare, Giuseppe Torchio, che ha dichiarato che la Tamoil non ha mai fatto gli investimenti promessi. A Cremona il museo del violino viene fatto passare per il paradiso della musica borghese, dove il Pd deve essere protagonista. Il Pd, salvo i consiglieri comunali e Alessia Manfredini, non fa altro che insistere, vuole sapere che sarà del museo del violino, che però è più privato che pubblico, secondo le leggi gradite al Pd che governa e non fa nemmeno una riforma. Il Pd, già Ds, ha governato facendo favori enormi al suo grande avversario oggi alleato. L’immensa sudditanza del Pd verso G. Arvedi e il meraviglioso disinteresse per le questioni ambientali (salvo la mozione Zanacchi contro i mali del biogas) e i referendum sull’acqua (trasversali ma quanto mai democratici) fanno paura. Delle infiltrazioni della ‘ndrangheta deve parlare ancora il cattolico democratico Torchio. Brillano alcune luci nella notte del Pd, ma la strategia è la conservazione reazionaria dell’esistente. Ma chi può dire che l’orientamento dato dal segretario provinciale Magnoli è stato rispettato? Dov’è l’autonomia dai potenti e l’attenzione ai poveri che non sia umiliante elemosina?
Quindi riporto un pungente intervento di un tenore di Cagliari, Gianluca Floris, che non riconosce più la sinistra, segnalato dalla vivace signorina Claudia Cremonesi.

Posted on 14/06/2013 by gianlucafloris LINK
Io sono sempre stato di sinistra.

Perché mio padre mi ha sempre spiegato sin da piccolo la differenza fra chi fa scelte politiche a vantaggio dei ricchi e delle elite, e chi invece fa scelte politiche a favore di tutti i cittadini.

Poi la mia formazione culturale fu guidata dalla esperienza radiofonica, la rete delle “Radio di Paese Sera” che affinò la mia formazione nella importanza che la comunicazione e l’informazione devono avere nella educazione permanente di tutti i cittadini.

Poi ho incontrato – da regista e autore – la Società Umanitaria Cineteca Sarda guidata dal mai abbastanza compianto Fabio Masala, un intellettuale che aveva dedicato la sua vita (troppo breve purtroppo) alla diffusione culturale soprattutto fra le classi disagiate, per fornir loro strumenti di analisi e di lettura della cultura.

Mi sono formato quindi nella convinzione che una delle chiavi per la costruzione di una società più giusta passasse dalla diffusione della cultura a tutte le fasce sociali e soprattutto dalla diffusione degli strumenti di comprensione e di analisi della stessa.

Quando mi trovai a intraprendere una carriera artistica nazionale e internazionale, poi, ebbi modo di affinare il mio pensiero con l’esperienza del confornto con i testi da interpretare, con le diverse profondità di lettura, con gli strumenti utilizzabili per fare arrivare al pubblico il famoso “messaggio”.

Mi resi conto di persona (ultimo fra gli ultimi) di come il mestiere del teatrante fosse una delle professioni più politiche che ci potessero essere al mondo, perché sta a chi opera sul palcoscenico (autore, interprete o regista) proporre una lettura che seleziona i significati e i messaggi da trasmettere.

Diventato un signore di mezza età, oggi posso dire che una delle cose che più mi fa dire con sicurezza di essere ancora e sempre più di sinistra è la convinzione profondamente radicata in me del fatto che l’accesso alla cultura (dalla istruzione giovanile alla fruizione degli adulti) è un diritto primario di tutti i cittadini.

Oggi per me essere di sinistra significa pretendere istruzione di qualità per i bambini, per gli adolescenti e gli universitari. Per me oggi essere di sinistra significa garantire a tutti gli strumenti dell’accesso alla cultura.

Per me essere di sinistra oggi significa pretendere che tutti abbiano testi sui quali strudiare, luoghi dove farlo, biblioteche, musei, teatri.

Per me essere di sinistra oggi significa assegnare alla cultura la stessa priorità degli ospedali. Per me una scuola, una università, una biblioteca, un museo o un teatro sono strumenti che devono essere messi a disposizione di tutti. Perché in questo si coniuga il mio essere di sinistra.

“Ma non puoi pensare che la cultura sia sempre la cosa più importante” mi ha detto l’altro giorno una mia cara amica. E io le ho ribattuto che invece è proprio la cultura ad essere la cosa più importante in democrazia. La prova provata è il fatto che le nazioni al mondo più civili, quelle dove potrei vivere, sono proprio quelle dove la propensione al consumo di cultura è più elevato. Francia, Germania, Olanda, Belgio, Inghilterra, Svezia, Norvegia e posti così.

Casualmente in questi luoghi si assiste al fatto che i cittadini tutti hanno a disposizione strumenti di accesso e di studio della cultura diffusi capillarmente e sono proprio i luoghi dove le differenze sociali sono meno marcate, e dove la democrazia funziona al meglio.

Questo non è un caso e io, che sono di sinistra, lo noto subito.

Per me, che sono di sinistra, un ospedale non deve essere in attivo perché è un servizio sociale. Non ci devono essere sprechi, perché è un servizio sociale, ma non può essere gestito come una impresa privata. Perché lo scopo di un ospedale è quello di dare un servizio a tutti i cittadini, non di essere in attivo.

Per me, che sono di sinistra, non devono essere in attivo le scuole, le università, le biblioteche, i musei, i siti archeologici, i teatri di prosa, i teatri d’opera e le accademie e tutto quello che concorre alla crescita culturale di tutti i cittadini di qualsiasi età. E non ho fatto una lista esaustiva, perché dovrei metterci anche lo studio delle tradizoni culturali identitarie dei territori, musicali, letterarie, figurative e chi più ne ha più ne metta.

Per me tutti questi sono strumenti che devono essere messi a disposizione di tutti i cittadini a carico della fiscalità generale dello Stato. Perché sono di sinistra. Perché sono europeo e non statunitense.

Io sono di sinistra perché credo che a tutti i cittadini debba essere garantito INNANZITUTTO il diritto alla cultura. Non voglio scomodare Gramsci, lo lascio a chi ne sa più di me. Ma questo è il punto fermo di tutta la mia convinzione etica e politica.

E qui inizia il mio problema: io sono di sinistra perché mi sono formato all’interno della sinistra e perché sono in un settore dove ho potuto maturare queste convinzioni. Fino a qualche tempo fa queste mie convinzioni erano diffuse tra tutti i militanti dei partiti che si riconoscono nella sinistra.

Oggi invece – parlo del mio settore, ma mi potrei allargare – è stata fatta una legge che obbliga i teatri ad essere gestiti come delle normali società di diritto privato. Che possono quindi fallire. Come se potesse fallire una biblioteca, una scuola o un ospedale o un sito archeologico.

Anziché (come sarebbe stato logico) pretendere che a gestire i teatri fosse chiamata gente competente e che fosse chiamata a rispondere personalmente, amministrativamente e penalmente del proprio operato, per migliorare le performance, si sono creati dei “mostri” come le Fondazioni Lirico Sinfoniche dalle quali adesso lo Stato pian piano si può sfilare in maniera politicamente indolore.

Questa è una cosa di destra. Ma è una legge che ha fatto la “sinistra” odierna.

Sono di sinistra i sindaci più attivi verso il disimpegno statale in questi luoghi di cultura.

Questo in parte accade perché molti politici legittimamente eletti sono persone che non hanno abitudine al consumo di cultura e non ne comprendono intimamente l’importanza.

Questo accade perché oggi i partiti di “sinistra” come PD e SEL, trattano i nostri teatri non più come “cultura” ma come “spettacolo”.

Il Teatro di prosa o quello d’Opera sono stati a lungo una palestra di autori, registi e interpreti che hanno portato ovunque il nostro patrimonio immateriale e che hanno “istruito” generazioni di cittadini. Sono stati i luoghi dove si sono create tra le più grandi tradizioni artistiche, artigianali, manufatturiere che l’Italia abbia potuto esprimere.

Un tempo nel dibattito culturale europeo l’Italia era sempre presente con Strehler, Visconti, Pasolini, Dario Fo, e tanti altri. Si trattava sempre di intellettuali che si “sporcavano le mani” con il loro impegno teatrale (Opera o prosa) con il quale raggiungevano le classi popolari, con spettacoli dai più livelli di lettura.

“E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia” (Cit. Blade Runner)

E la colpa di tutto questo è soprattutto del fatto che oggi, quello che noi ci ostiniamo a chiamare “sinistra”, non solo non è più in grado di individuare la cultura come priorità, ma non la sa più nemmeno riconoscere nei luoghi e nei modi nella quale si dovrebbe.

Oggi la “sinistra” chiude i teatri e gli ospedali, domani chiuderà gli altri presìdi democratici fondamentali come le biblioteche, le scuole, i musei e i siti archeologici.

“Non ci sono soldi” è un mantra che maschera in realtà il fatto che in Italia la sinistra ha definitivamente compiuto la lunga marcia verso le posizioni che un tempo sarebbe state riconosciute come “di destra”. Prova ne sia il fatto che parlare di marketing per un ospedale o per una scuola o per una università oggi non è più tabù per la cosiddetta “sinistra” italiana.

Quella che oggi ci ostiniamo a chiamare “sinistra” in Italia, non rappresenta più le convinzioni con le quali io e tanti come me ci siamo formati.

Quindi mi trovo nella grande difficoltà a riconoscerla come mio referente elettorale.

Ho tanti amici politici che apprezzo, e tantissimi sono eletti nelle file della sinistra. Molti di loro si impegnano tantissimo convintamente nella direzione verso la quale a mio avviso una politica di sinistra dovrebbe andare. Ma le loro battaglie sono sempre isolate e non trovano mai riscontri nelle azioni e nei programmi dei partiti di appartenenza. La politica dei loro partiti è sempre più inesorabilmente una politica di destra.

La vita mi ha portato a fare il teatrante e ad operare nei vari settori della cultura, ed è quindi da questo settore che può partire il mio impegno. Dal mio lavoro.

Consto con dolore che la direzione della politica della attuale sinistra del paese, non è quella che propriamente riconosco come “di sinistra”.

Non riconosco più alla sinistra italiana l’urgenza di portare a tutti i cittadini l’accesso alla cultura e agli strumenti di fruizione. E mi spiace, soprattutto per il mio Paese.

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