«La politica è bella». Dice proprio così: sono queste le parole che il padre del protagonista sussurra al figlio poco prima di morire. «La politica è bella»: fai fatica a crederci, ma è proprio questo è il messaggio di speranza che l’ultimo film di Giuseppe Tornatore ci regala. Una frase che non sentivo dire da anni e che avevo bisogno di ascoltare nuovamente. Una frase che mi ha colto di sorpresa e che mi ha emozionato, permettendomi di tornare di incanto alla mia infanzia e alla adolescenza, quindi anche alla mia storia politica. Quella storia che ho cercato di raccontare in “Caduti Dal Muro”, il libro che ho scritto con Paolo Ciampi.
Baarìa è un film in programmazione nelle sale aretine. Lo consiglio vivamente a chi di voi mi legge e ha imparato a conoscermi. Ma lo consiglio soprattutto, e caldamente, ai giovani rampanti della politica, che siano di centrodestra o centrosinistra non importa.
Non credo alle folgorazioni tipo Paolo sulla strada di Damasco, ma chissà che non rappresenti comunque una lezione salutare. Di quelle che ti aiutano a riflettere su te stesso e su quello che stai combinando della tua vita (e peggio ancora, della vita degli altri). Chissà, magari proprio grazie a questo film riusciranno a comprendere meglio i valori della politica che sono lontani dal carrierismo e dalla ricerca di un posto nei consigli di amministrazione di qualche ente, pubblico o privato che sia. Tornatore ricostruisce un mondo che non c’è più.
Uomini e donne che non ci sono più. Ma la vera magia è che quel mondo, con le relazioni umane che esso conteneva, ha ancora la capacità di farsi raccontare e in questo modo di destare passioni. Baarìa è, soprattutto nel primo tempo e prima dell’avvento degli anni sessanta, un film epico. Un film che attraverso una storia individuale dispiega una storia collettiva. La storia di un popolo. E raccontando la storia di un popolo, custodisce e trasferisce la memoria di quella storia e di quel popolo. E’ capace , in ultima analisi,di mettere davanti ai nostri occhi la nostra identità, quasi facendocela toccare e sentire respirare .
In un momento in cui tutti sono alla ricerca d’identità, molti s’interrogano sul senso stesso dell’identità, altri addirittura la re-inventano, basta ripensare alle pagliacciate della Lega che riempie ampolle alle sorgenti del Po, oppure al mondo virtuale, finto e immorale, proposto da Berlusconi. Giuseppe Tornatore sembra invece aver trovato il filo che sbroglia la matassa. Lui racconta e raccontando accumula.
Accumula storie e sentimenti. Storie e sentimenti che insieme “costruiscono” la Storia. Però in questa storia si sviluppa anche il concetto di politica e di politico. E come non rivivere le emozioni,gli ideali, le speranze , la passione che la mia generazione ha riversato nell’impegno politico? Come non guardare con nostalgia a ciò che eravamo e a ciò che con le lotte politiche si voleva cambiare? Il cinema, il grande cinema, ha sempre raccontato il passato e il futuro. È stato memoria o ha anticipato. Il cinema può essere anche speranza e quel «La politica è bella», proferito in punto di morte, è la più bella speranza che Tornatore potesse regalarci. Una speranza quanto mai necessaria oggi e che, ripensando ai miei vent’anni, mi fa tornare il sorriso. Eppure ciò che conta, ciò che resta – è uno dei grandissimi momenti del film, probabilmente il più alto – è il passaggio di testimone tra un padre e suo figlio. Un passaggio di consegne che ci dice molto: se anche resta poco della Storia maiuscola, rimane la vita degli esseri umani, che conta più delle ideologie. Rimangono principi e valori essenziali, quali la dirittura e la coerenza, il volersi bene. Quello di Giuseppe è un ricordo, un omaggio intimo e privato, alla propria famiglia prima di tutto. Ma ci sono storie che ti fanno sentire a casa tua, che le ascolti solo per dirti, è vero, anch'io c'ero, riguarda anche me. Per dirti e per dire ad altri, magari a chi verrà dopo di noi: e per capire così che non tutto è stato inutile.
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