Magazine Opinioni

La politica italiana ai tempi dell'hashtag... #ghepensimi2.0

Creato il 20 luglio 2014 da Alessandro @AleTrasforini
La necessità di affrontare problemi enormi sembra essere stata soffocata, specialmente in questi ultimi tempi (quando già prima non sembrava dare tangibili segni di vita), da un dibattito piuttosto sterile (o sterilizzato) attorno a presunte "riforme" chieste da tempi ormai maturi e da interlocutori sovranazionali. E' giunta l'ora di farle, poco sembra importare se bene o male.
Il dibattito scende nei dettagli per quanto riguarda le trasformazioni (od involuzioni) di un Senato, convertito in "dopolavoro istituzionale" per Sindaci ed Amministratori Regionali eletti in secondo livello. Tutto questo, ovviamente, con una discussione svolta sul filo del rasoio per i facenti parte di una "minoranza" sempre più esigua nei volti ma (fortunatamente?) non certo nei contenuti.
Le questioni economiche sono quasi integralmente alienate dal dibattito collettivo, neanche fossero di importanza secondaria rispetto al (presunto) "ammodernamento istituzionale" ed alle (presunte) "riforme costituzionali" da condurre in porto ad ogni costo.
In un Paese tragicamente ridotto al lumicino dovrebbe essere urgente (e/o prioritario?) parlare di tecniche e strategie per impostare livelli di crescita minima per sostenere contemporaneamente: peso del debito pubblico, interessi maturati annualmente sui livelli di debito pubblico, necessari rimborsi da parte della Pubblica Amministrazione, detassazione strutturale tramite "bonus 80", ampliamento delle platee dei detassati, interventi permanenti su edilizia scolastica, misure urgenti per la digitalizzazione nazionale, politiche di riqualificazione e riconversione industriale per la tutela ambientale, [...].
Argomenti non in rigoroso ordine di importanza, ovviamente.
Se il dibattito nazionale langue terribilmente e tremendamente, quello continentale sembra disperdersi in una nuvola di cifre volte a dover necessariamente riaccendere frammenti di competitività e concorrenza per ogni Stato membro dell'Unione Europea: implicito è il riferimento ai 300 miliardi di Euro destinati in un arco di tempo triennale dal Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker per favorire misure di crescita e competività. La politica dovrebbe acquisire su questo terreno peso e consistenza maggiori, non certo limitandosi ad un corretto "fraseggio istituzionale" fra PSE e PPE. Sembra essere sempre più urgente, nei fatti, adoperarsi per rompere schemi pre-esistenti che non producono ormai da troppo tempo risultati utili e/o quantomeno dall'utilità percepibile.
La necessità di onorare a fondo ed in maniera completa e permanente gli accordi europei pare essere inderogabile e forzata, stando anche alle parole attribuite al Commissario Europeo agli Affari economici e monetari Jyrki Katainen:
"[...] Discutere di una maggiore flessibilità nell'interpretazione del Patto di Stabilità è pericoloso, è un dibattito sbagliato. [...] per l'Italia è più importante varare finalmente le importanti riforme [promesse dagli ultimi Governi] [...]"
Non sembrano esserci, stanti le difficili condizioni macro-economiche, margini di manovra adeguati per evitare una manovra correttiva finalizzata a far rispettare i confini (imposti) alla spesa pubblica nel contesto nazionale. Non sembrano esserci neppure previsioni di crescita per l'anno corrente sufficientemente alte per onorare tutti gli impegni di spesa promessi e già da onorare. A questo proposito sono (pur)troppo eloquenti i tagli alle stime fatti da vari Istituti di svariata credibilità:
"[...] Bankitalia taglia le stime del Pil: +0,2% nel 2014. Nel Bollettino economico dell'istituto [...] Bankitalia stimava per quest'anno un Pil in crescita dello 0,7%. Anche via Nazionale si allinea dunque agli altri istituti che nei mesi scorsi avevano riallineato al ribasso le previsioni di crescita del Pil quest'anno (+0,2% CsC Confindustria, +0,3% Prometeia, crescita piatta il Ref) mentre il governo resta fermo al +0,8% contenuto nel Def di aprile. [...]"
La ripresa più tangibile potrebbe teoricamente realizzarsi, ad esclusione di nuovi ed ulteriori tagli, dall'anno successivo 2015 in poi:
"[...] Il Bollettino rivede al rialzo, invece, la stima del Pil 2015: da +1% a +1,3%. In questo caso il miglioramento si deve «principalmente» alle misure espansive decise a giugno dalla Bce, che secondo gli economisti di Bankitalia, potrebbero avere sul Pil italiano un effetto positivo pari all'1,0% nel triennio 2014-2016. [...]"
Con buona pace di complottisti e gufi (cit.), dunque, non sembra che il futuro sia molto ottimistico per l'altro lato dell'offerta governativa, quantomeno nel breve-medio termine. Con altr(ettant)a buona pace per imbonitori, venditori e lettori di slides.
Le "richieste riforme" vanno condotte in porto, ad ogni costo, costi quel che costi allo Stato ed agli equilibri Costituzionali da alterare il più velocemente possibile. Poco importa della necessità di approfondire e realizzare quel che è necessario mettere in campo per favorire la piena realizzazione delle "riforme": basta davvero un annuncio per realizzare e predisporre cambiamento? La risposta a questa domanda è tanto scontata quanto ridicola, provando a guardare nel concreto all'operato di un Governo che si propone di realizzare un tanto feroce quanto veloce (ma poco efficace?) cambiamento. La concretezza di guardare all'operatività reale presuppone un ragionamento ulteriore, maggiormente complesso ed articolato rispetto allo scarso livello del dibattito pubblico attualmente in corso d'opera.
Il punto sui "decreti attuativi", necessari per rendere pienamente operativi provvedimenti governativi, contribuisce a rendere ben chiara l'idea su quanta strada sia ancora da fare per pervenire alla piena realizzazione della politica preventivata dall'hasthag #cambiaverso:
"[...] Renzi sembra [...] intenzionato a riprendere in mano il dossier attuazione. Come documentato dal Sole 24 Ore [...]continua a crescere infatti lo stock dei decreti necessari per rendere pienamente operative le riforme. In due mesi  [...] si è passati da 500 a 511 provvedimenti ancora da mettere a punto. Conseguenza dell'ingresso delle prime riforme varate dal Governo Renzi.
Sono, infatti, arrivati al traguardo tre decreti legge, che prevedono ben 84 regolamenti per poter dispiegare pienamente gli effetti.
Provvedimenti che si sommano a quelli lasciati in eredità dagli Esecutivi Monti e Letta: complessivamente di 428 decreti attuativi ancora in attesa, di cui 177 già scaduti. [...]"
In parole povere, pertanto, anche buona parte dei provvedimenti promessi dai Governi Monti e Letta non sono stati ancora integralmente attuati.
Il Governo Renzi rischia, pertanto, di essere penalizzato dall'azione combinata fra velocità esecutiva e voracità istituzionale.
Discorsi come questi rischiano però di non poter essere neppure intavolati, in quanto l'onda del 41% sembra aver prodotto un collettivo addormentamento nei confronti di dubbi e razionali osservazioni scettico-critiche verso una politica protesa (solo apparentemente?) verso un'affannosa ricerca di traguardi sempre nuovi da gettare in pasto all'opinione pubblica. Riforme come figurine da collezionare, dunque?
La spasmodica ricerca del risultato rischia di produrre, nel medio-lungo termine, risultati controproducenti per la realizzazione concreta di riforme (teoricamente) utili al Paese ed alla sua salvezza socio-economica. Per un esempio sintetico si osservi quanto riportato nel seguito:
"[...] il Governo Renzi è già in affanno sull'attuazione. Nonostante gli interventi legislativi siano recenti, 14 regolamenti hanno superato i tempi fissati per l'emanazione. Come nel caso del Durc semplificato: è scaduto da più di un mese il decreto del Lavoro previsto dal Dl 34 (primo capitolo del Jobs act) che avrebbe dovuto rendere operativa la verifica online della regolarità contributiva delle imprese e che allunga a 120 giorni la validità dei dati dichiarati. [...]"
Quanta rilevanza avrà in certa informazione (pur)troppo complice una questione dirimente ed urgente come questa?
Senza decreti attuativi correttamente condotti in porto qualsiasi riforma rimane solo promessa?
Senza decreti attuativi rischia di esserci solo terra bruciata di intenti ed adeguamenti legislativi?
L'attitudine ad appiattire (o mantenere schiacciato, a seconda dei punti di vista) il dibattito sembra essere una tendenza assolutamente (e volutamente?) confermata e perpetuata da parte delle autorità Governative.
Sullo sfondo, ovviamente, resta (utopica ed inattuata?) la definzione (teorico-patetica?) di una nuova politica capace di promettere ed eseguire contemporaneamente o, quantomeno, con ritardi minimi e dovuti quasi esclusivamente a cause di forza maggiore.
Poco (o nulla) si dibatte attorno alla necessità di ragionare (o quantomeno informare, sempre ammesso che sia difficilissimo ma possibile fare qualcosa di buono ed utile) riguardo all'immensa fuga dei capitali italiani nei paradisi fiscali, anche in anni precedenti ad una crisi economica divenuta ormai (tragicamente) strutturale. Stime di BankItalia riferiscono di un patrimonio di capitali italiani che, al 2014, è compreso in una forbice fra 180 e 200 miliardi di Euro.
Altre stime, seppur non ufficiali ma (forse?) con più di un fondo di verità, riportano di capitali italiani in Svizzera oscillanti attorno a cifre che potrebbero ottimamente reggere il confronto con i livelli di debito pubblico nazionale.
Non bastano provvedimenti simili al "bonus 80" per risolvere in maniera il più strutturale possibile certi problemi abbassando i livelli di "total tax rate" che in Italia viaggiano verso percentuali prossime al 70% sul totale del tassabile alle imprese.
La necessità di fare "riforme strutturali" è una scelta obbligata che deve affiancarsi, in parte od integralmente, alla possibilità di strutturare schemi permanenti per porre rimedio (o quantomeno consapevolezza, qualora non sia possibile muoversi con radicale incisività) alla tremenda complessità cumulatasi nel sistema socio-economico attuale. La crisi italiana pare avere origini ben più radicate ed incancrenite rispetto ad un solo ed esclusivo "è solo colpa della Germania". Le testimonianze a questo proposito sono nette, innumerevoli e (pur)troppo eloquenti.
Si riportino, a titolo di esempio quasi casuale, le parole del giudice Piercamillo Davigo in proposito a certi mali italiani:
"[...] Numerose società e gruppi imprenditoriali, anche fra i più importanti del Paese, hanno potuto gestire fondi occulti senza che collegi sindacali, società di revisione, Consob o altri organi di controllo potessero rilevare le irregolarità. [...]  La crescente internazionalizzazione comporta freuentemente il ricorso a rapporti finanziari con l'estero, allocando società controllate o collegate in [...] paradisi societari, bancari, fiscali e valutari.
La funzione dei paradisi fiscali è [...] quella di 'tax planning', che può anche presentare i caratteri della liceità. In concreto, accade che attraverso le società costituite nei [...] paradisi fiscali, si realizzano forme di evasione fiscale in senso tecnico [...] o, comunque, si veicolino flussi illeciti i capitali. [...]"
Attraverso questi metodi non sono state sottratte all'economia reale risorse (teoricamente) utili per favorire sviluppo e per livellare disuguaglianze? Quanto manca al raggiungimento del punto di non ritorno? Sempre ammesso che tale orizzonte non sia già stato superato.
Una discussione collettiva attorno alla necessità di trasformare e riformare (in maniera il meno gattopardesca possibile) non dovrebbe in alcun modo prescindere dalla possibilità di affrontare (nei dettagli) argomenti simili a questi.
Ulteriori punti problematici di incontro fra visioni politico-programmatiche diverse non mancherebbero in questa Italia, quantomeno teoricamente: sostenibilità ambientale, politica industriale, riqualificazione di distretti produttivi contaminati (o compromessi radicalmente), rapporti fra sviluppo economico e produttività, [...].
Una politica matura (al punto richiesto dalla complessità dei tempi contemporanei) dovrebbe avere le estreme capacità e competenza per mettersi completamente al servizio di una platea di cittadini da informare. E riformare anch'essi, perchè non scriverlo.
"Riformarli" in consapevolezza, in urgenza della percezione di certi problemi per troppo tempo silenziati o non doverosamente compresi, in occasioni concrete per interessarsi una volta in più della "res publica" contribuendo al cambiamento (collettivo, non certo individuale/individualizzato) dello status quo. La sfida più grande dovrebbe essere questa.
Condizionale d'obbligo, specialmente in tempo di hashtag.
LA POLITICA ITALIANA AI TEMPI DELL'HASHTAG... #GHEPENSIMI2.0
Per saperne di più:
1. "Ue a Renzi: 'Invece che alla flessibilità, Italia pensi a riforme'. Gozi:'Il Consiglio ha parlato chiaro'", Repubblica.it
(http://www.repubblica.it/politica/2014/07/19/news/ue_renzi_patto-91962329/)
2. "Renzi: giovedì in Cdm problema decreti attuativi", Il Sole 24 Ore
(http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-07-08/renzi-giovedi-cdm-problema-decreti-attuativi-193131.shtml?uuid=ABycIsYB)
3. "BankItalia taglia le stime del PIL: +0,2% nel 2014, rischi ribasso", Il Sole 24 Ore
 (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-07-18/bankitalia-taglia-stime-pil-+02percento-2014-rischi-ribasso-144556.shtml?uuid=AB473AcB)
4. "Cos'è il decreto attuativo?", taxistory.it
(http://www.taxistory.it/wordpress/2014/03/27/cose-il-decreto-attuativo/)
5. "Riforme, mancano 511 decreti attuativi", Giornalettismo.com
(http://www.giornalettismo.com/archives/1545509/riforme-mancano-511-decreti-attuativi/)
6. "Juncker presidente Commissione Ue: "Priorità lavoro e crescita, 300 miliardi in 3 anni". Scontro sulla Mogherini", Repubblica.it
(http://www.repubblica.it/economia/2014/07/15/news/juncker_il_giorno_della_fiducia_priorit_lavoro_e_crescita_300_miliardi_in_3_anni-91599045/)
7. "Caccia al tesoro - il più grosso bottino della Storia", N.Penelope, Editore Ponte alle Grazie



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :