Il risultato? Circa 400 milioni per il 2013 e 800 milioni per il 2014 di incremento per le entrate delle casse dello Stato. Ovviamente a carico del risparmiatore italiano. L’applicazione della direttiva è retroattiva e questo significa che, in barba allo statuto del contribuente che vieta simili pratiche, anche per i versamenti relativi ai primi mesi dell’anno sarà valido quanto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Per circa sei milioni di risparmiatori diventa dunque un problema da non sottovalutare. Non è la prima volta che la categoria delle polizze vita è chiamata a compensare i gap statali, come quando con il decreto “salva-italia” si è istituita una vera e propria patrimoniale sul risparmio chiedendo inizialmente lo 0,1% del capitale investito in fondi comuni e gestioni patrimoniali, presto diventato lo 0,15%.
Dopo il caso cipriota dei mesi scorsi, dove i clienti delle due principali banche hanno subito forti perditi sui loro depositi, ecco riaffacciarsi nuovamente la soluzione dell'esproprio dei risparmi, per risolvere problemi finanziari o di indebitamente. Purtroppo, almeno nel contesto europeo, la linea di demarcazione tra debito e credito, sembra essere divenuta più sottile, pallida, quasi inesistente. E' chiaro che al debito di un soggetto, corrisponde il credito di un'altro di un altro soggetto. E per rendere solvibile il debitore, non c'è nulla di più agevole che compensare posizioni a debito con quelle a credito. Ed il gioco è fatto: il debitore è stato reso solvibile e il creditore è stato espropriato. Questo ci insegna una cosa molto semplice: ossia che il tabù dell'inviolabilità e del rispetto dei risparmi e dei sacrifici di una vita, almeno nel contesto dell'Europa, è stato violato, è stato abbattuto, definitivamente. da Il Sole 24 Ore
E tre: dopo Argentina e Ungheria anche la Polonia decide di nazionalizzare la previdenza privata. L'obiettivo è analogo ai casi precedenti: ridurre il debito pubblico di otto punti percentuali dall'attuale 52,7% del Pil nazionale, scendendo così sotto la soglia del 50%. In questo caso la modalità identificata dal premier polacco Donald Tusk è quella di trasferire nelle casse dello Stato le obbligazioni detenute dai fondi pensione coperti da garanzia pubblica, in particolare obbligazioni sovrane, per un ammontare superiore ai 40 miliardi di euro. In Polonia l'adesione alla previdenza complementare è volontaria: a questi strumenti va il 2,92% della retribuzione dei lavoratori che chiedono di includere anche una parte privana nel proprio piano previdenziale. Quello di Varsavia è un sistema previdenziale "ibrido" con un veicolo pubblico (lo "Zus") e uno privato.La mossa comporterà in sostanza il dimezzamento del patrimonio di questi strumenti - visto che i titoli di Stato ammontano al 51,5% degli "asset under management" dei fondi pensione -, riducendo in misura conseguente il ruolo della previdenza complementare nel sistema economico e finanziario della Polonia. L'altra metà del portafoglio dei fondi pensione è investita per buona parte in titoli quotati alla Borsa di Varsavia. Il Ministro delle Finanze polacco Jacek Rostowski ha annunciato alla stampa che prossimamente il governo modificherà la normativa che regola la disciplina di investimento dei fondi pensione, offrendo loro una maggiore possibilità di investire in titoli azionari.Le critiche dei gestori e la difesa del Governo L'annuncio ha ovviamente suscitato critiche da parte dell'associazione dei fondi pensione che hanno giudicato incostituzionale l'iniziativa dell'Esecutivo, in quanto la sostanziale annessione di asset non prevede alcuna forma di compensazione da parte dello Stato. Dure le dichiarazioni anche dei principali attori del sistema finanziario polacco: in particolare dalle società di gestione del risparmio, che amministrano i patrimonio affidati loro dai fondi pensione, da Ing ad Aviva, Axa, Generali e Allianz. Complessivamente il sistema della previdenza privata in Polonia pesa per quasi il 20% del Pil nazionale e la stesa Borsa di Varsavia vede i gestori di fondi pensione protagonisti degli scambi. L'indice principale polacco ha iniziato a scendere dopo l'annuncio del governo per chiudere la giornata a -2,6%. «Il peggio che ci si possa aspettare, una decisioen che potrebbe far chiudere la previdenza privata» ha commentato Rafal Benecki di Ing Bank Slaski. Da parte sua il Ministro delle Finanze Rostowski ha cercato di rasserenare gli animi anticipando una maggiore flessibilità nelle scelte di portafoglio dei fondi. L'annessione dei propri titoli obbligazionari, ha precisato, visto che fino a ieri il debito polacco «appariva superiore» rispetto alla realtà.Può accadere anche in Italia? Come detto la Polonia non è il primo paese che decide di annettere nelle casse pubbliche patrimoni previdenziali privati: le necessità di bilancio hanno portato ad analoghe misure il governo della presidente Cristina Kirchner nel 2008 e due anni il parlamento ungherese ha varato una riforma complessiva del sistema previdenziale che ha innalzato le aliquote contributive e incamerato i portafogli dei fondi pensione nel Fondo Pensionistico Nazionale, con una clamorosa inversione a U rispetto alla decisione di lanciare la previdenza privta, dieci anni prima. La possibilità di individuare forme per annettere al bilancio dello Stato parte se non tutto il patrimonio della previdenza privata, è stata occasione di ipotesi anche nei corridoi dei palazzi italiani: si va dall'annessione dei titoli di debito sovrani, come accaduto in Polonia, alla creazione di vincoli di portafoglio, passando dall'imposizione - per gli strumenti di primo pilastro - di una tassazione da strumento speculativo, non conforme con gli obiettivi previdenziali. Ipotesi respinte da una parte dall'effettivo ruolo della previdenza privata a supporto di una pubblica che progressivamente garantirà pensioni più basse, dall'altra dall'del un sistema.I fondi pensione complementari italiani, in particolare, presentano costi particolarmente bassi se confrontati con quelli di analoghi strumenti europei e con rendimenti medi che negli ultimi otto anni - crisi compresa - hanno battuto quello dei Tfr, alternativo nelle scelte dei lavoratori italiani. Il fianco scoperto del sistema italiano di secondo pilastro è rappresentato dalla gestione prudente - che impedisce per esempio di investire in paesi considerati nel 1996, epoca della definizione del decreto che stabilisce i criteri di investimento - "rischiosi"; Cina, Brasile, Russia compresi; dall'altra l'alta esposizione in titoli di Stato in particolare italiani, per quasi 30 miliardi di euro: titolo il cui merito di credito è sceso complice i declassamenti delle agenzie di rating, tanto da spingere le autorità di vigilanza ad invitare a prendere "con le pinze" le indicazioni relativi alle soglie minime. E infine, oltre al "pericolo polacco", sono da considerare le condizioni fiscali dei fondi pensione: divenuti particolarmente convenienti negli ultimi due anni a causa dell'inasprimento dell'imposizione fiscale di altri strumenti utilizzati analogamente come forma di risparmio di lungo termine: da una parte il recentissimo decreto 102 che taglia le detrazione per le polizze Vita e dall'altra l'imposta definita dal decreto Salva Italia dello 0,15% sul totale affidata in gestione a fondi comuni, Etf, gestioni finanziarie.Può accadere anche in Italia ciò che è accaduto in Polonia e prima in Argentina e Ungheria? I tecnici che in passato si sono eserictati con le ipotesi di cui sopra sanno che un'analoga "annessione" a quella polacca di titoli di Stato porterebbe nelle casse pubbliche solo 30 miliardi: poco se confrontato con gli oltre 90 miliardi di euro di interessi sul debito pagati da Repubblica italiana nel 2012 ai propri sottoscrittori di titoli di Stato. E soprattutto rispetto ai 120 miliardi di euro in asta da qui alla fine dell'anno: una nazionalizzazione verrebbe letta come un mossa disperata per far quadrare i conti, con conseguente impennata dei rendimenti dei Btp. E di conseguenza delle tasse dei contribuenti italiani.
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