Ho dormito per nove notti su una scomoda poltrona, durante la degenza di Dodokko in ospedale, affianco al suo lettino. Disteso in posizione supina su quell'arnese, che si apriva a non più di 140 gradi e che lasciava uno spazio vuoto sotto la zona lombare della mia schiena, a ricordarmi, a ogni frequente risveglio, la potenza della forza di gravità con un doloretto acuto e che si faceva vivo al minimo movimento. I piedi e parte delle gambe poggiate su una sedia, la parte più interna, invece, anche lei sospesa nel vuoto. Ma dopo un paio di giorni ti abitui anche a queste scomodità e il disagio notturno è incomparabile al conforto che puoi dare a un figlio dormendo vicino a lui.Quando ormai con Dodokko si parlava di fine del ricovero e di ritorno a casa, un giorno lui mi dice: "Papà, quando torniamo dormiamo come qui?". Gli rispondo, ammirato per la mia rara prontezza di spirito, che nella sua cameretta "non entrerebbe una poltrona tanto grande"."Però - gli ho proposto e lui ha subito accettato - posso sdraiarmi con te sul tuo lettino e restarci fino a quando ti addormenti, come facevamo prima di venire in ospedale".