Ci risiamo. Puntualmente. Inevitabilmente. Era già successo con la Franzoni e il delitto di Cogne, con Erika e Omar e il massacro di Novi Ligure, con Amanda e Raffaele e l'omicidio di Meredith Kercher a Perugia, con Alberto Stasi e la tragedia di Garlasco. Adesso tocca alla povera Sarah Scazzi. Ogni qualvolta la cronaca nera italiana viene drammaticamente alla ribalta, con squartamenti e orribili rappresentazioni macabre stile Grand Guignol, ecco immancabile la massiccia e ossessiva presenza televisiva di trasmissioni e speciali dedicati a questo o a quel mostro, al tal delitto o al movente di quell'altro efferato crimine. Una serie interminabile di parole, opinioni, sentenze, processi mediatici e quant'altro, tutti declinati in nome di una sorta di orgia della pornografia dei sentimenti e del talk show da quattro soldi, della seduta psicoanalitica nel salotto tv e della gara a chi la spara più grossa. Ovviamente immolando il tutto sull'altare degli ascolti e dello share. A quasi due mesi dall'inizio della tragica vicenda della quindicenne di Avetrana, a dieci giorni dalla soluzione del delitto (con l'upgrade del coinvolgimento della cugina Sabrina, in carcere insieme al padre orco) che tanto ha scosso l'opinione pubblica nazionale, ecco che le telecamere delle principali reti televisive non accennano minimamente a mollare la presa sui Misseri, a spegnere i riflettori sul paesino in provincia di Taranto, a staccare la spina a questo lugubre e raccapricciante teatrino del dolore catodico. Anzi, se possibile, è in atto una specie di vomitevole recrudescenza dell'afflizione e della sofferenza a reti quasi unificate. Basti pensare ai due principali salotti della tv di Stato e commerciale (Porta a Porta e Matrix), uniti quasi allo spasimo nell'andare in onda nella stessa ora e quasi con gli stessi ospiti, di quelli onnipresenti e praticamente intercambiabili. Come ai bei tempi. Quelli appunto di Cogne e di Garlasco, di Perugia e del rosario infinito dei grani della passione e dei crimini sanguinari. Ma francamente un collegamento in diretta dal cimitero non mi era mai capitato di vederlo in televisione. Credo sia la nuova frontiera del giornalismo, malvagio e disumano, che solo una mente malata (anche di protagonismo) poteva immaginare e mettere in pratica. Venerdì mattina, nel corso del famigerato programma dell'altrettanta famigerata televisione del biscione (sto parlando ovviamente di Mattino Cinque e di Canale 5, già tristemente famosi alle cronache per l'ignobile servizio sul giudice Mesiano), una pseudo giornalista in ghingheri è apparsa davanti alle telecamere di Mediaset circondata dalle lapidi del camposanto di Avetrana. Chissà, forse in nome del diritto di cronaca (e magari in cerca di un insperato scoop) si era messa a favore di camera in una posizione strategica, probabilmente sperando in qualche "soffiata" dall'oltretomba da spiattellare all'incuriosita conduttrice Federica Panicucci. La soffiata non è arrivata, ma non certo per demerito della pseudo cronista: è alquanto risaputo che i trapassati sono di poche parole. Tornando alla tv seriale del dolore e della rappresentazione cruenta, debbo sottolineare come quasi tutti (con debite e rare eccezioni) gli operatori dell'informazione (o disinformazione, fate vobis) siano stati così tenaci dal non fermarsi davanti a niente, ma soprattutto dal non fermarsi mai, nonostante il fatto che le notizie siano sempre quelle, che il mostro in prima pagina è stato già sbattuto (oltre che in galera) e che anche la sorpresa della figlia dell'orco in gattabuia è stata metabolizzata. E così, in mancanza di nuovi accadimenti o di altri colpi di scena, ecco che i solerti ricercatori della verità si lanciano, con coraggio e disprezzo del pericolo (cosa si fa pur di portare a casa la pagnotta alla fine del mese), quasi come una muta di cani da tartufo, all'inseguimento di quell'eldorado della notizia in esclusiva cui la maggior parte di essi aspirano. E allora sotto con i dubbi, con le ricostruzioni, con i retroscena, le illazioni e le ipotesi, anche quelle più inverosimili e fantasiose. L'importante è attirare l'attenzione del popolo catodico, magari attraverso un primissimo primo piano degli occhi di Michele Misseri (l'orco), manco fosse l'interprete retroattivo di uno dei western targati Sergio Leone. Facendo seguire il tutto dalla solita incetta di opinioni da parte di criminologi, psicologi, dietrologi, avvocati, presenzialisti, donnine di spettacolo (un bel paio di cosce e due belle tette non hanno mai fatto male a nessuno) e via cianciando. L'accanimento e la foga messa in atto dagli interlocutori nelle loro sterili conversazioni sfiora quasi una sorta di umorismo nero, quasi involontario, e mi rimane difficile spiegare (prima di tutto a me stesso, poi ai miei lettori) il perchè il pubblico televisivo sia così morbosamente attratto dal dolore e dall'alibi che il crimine dà nel poter scrutare nella vita degli altri. Questo potrebbe essere un argomento ideale per qualche talk-show un pò più serio o serioso, mettendo per una volta i mass media sul banco degli imputati. Perchè, mi viene da dire, qualunque sia la risposta al quesito, la responsabilità dei mezzi d'informazione (con il loro soffiare sul fuoco della spettacolarizzazione ad ogni costo) sta diventando intollerabile e nauseante. Qualcuno ha, forse giustamente, discusso sulle presunte colpe di Federica Sciarelli, incapace di interrompere il suo Chi l'ha visto? mentre la mamma della povera Sarah apprendeva in diretta della confessione del cognato assassino. Ma la Sciarelli, almeno a mio modesto avviso, aveva la grossa attenuante di trovarsi lei stessa faccia a faccia con la notizia. Sotto lo stesso treno in corsa. E che dire allora dei conduttori, degli opinionisti e degli "esperti" che a distanza di giorni continuano imperterriti a pestare sangue e lacrime nel mortaio televisivo? Come si fa a trovare accettabile, se non doverosa, questa scioccante pornografia dei sentimenti? Allora mi chiedo: ma se questa non è la peggiore delle pornografie, che aspettiamo a sollecitare il processo di beatificazione per Moana Pozzi?
Ci risiamo. Puntualmente. Inevitabilmente. Era già successo con la Franzoni e il delitto di Cogne, con Erika e Omar e il massacro di Novi Ligure, con Amanda e Raffaele e l'omicidio di Meredith Kercher a Perugia, con Alberto Stasi e la tragedia di Garlasco. Adesso tocca alla povera Sarah Scazzi. Ogni qualvolta la cronaca nera italiana viene drammaticamente alla ribalta, con squartamenti e orribili rappresentazioni macabre stile Grand Guignol, ecco immancabile la massiccia e ossessiva presenza televisiva di trasmissioni e speciali dedicati a questo o a quel mostro, al tal delitto o al movente di quell'altro efferato crimine. Una serie interminabile di parole, opinioni, sentenze, processi mediatici e quant'altro, tutti declinati in nome di una sorta di orgia della pornografia dei sentimenti e del talk show da quattro soldi, della seduta psicoanalitica nel salotto tv e della gara a chi la spara più grossa. Ovviamente immolando il tutto sull'altare degli ascolti e dello share. A quasi due mesi dall'inizio della tragica vicenda della quindicenne di Avetrana, a dieci giorni dalla soluzione del delitto (con l'upgrade del coinvolgimento della cugina Sabrina, in carcere insieme al padre orco) che tanto ha scosso l'opinione pubblica nazionale, ecco che le telecamere delle principali reti televisive non accennano minimamente a mollare la presa sui Misseri, a spegnere i riflettori sul paesino in provincia di Taranto, a staccare la spina a questo lugubre e raccapricciante teatrino del dolore catodico. Anzi, se possibile, è in atto una specie di vomitevole recrudescenza dell'afflizione e della sofferenza a reti quasi unificate. Basti pensare ai due principali salotti della tv di Stato e commerciale (Porta a Porta e Matrix), uniti quasi allo spasimo nell'andare in onda nella stessa ora e quasi con gli stessi ospiti, di quelli onnipresenti e praticamente intercambiabili. Come ai bei tempi. Quelli appunto di Cogne e di Garlasco, di Perugia e del rosario infinito dei grani della passione e dei crimini sanguinari. Ma francamente un collegamento in diretta dal cimitero non mi era mai capitato di vederlo in televisione. Credo sia la nuova frontiera del giornalismo, malvagio e disumano, che solo una mente malata (anche di protagonismo) poteva immaginare e mettere in pratica. Venerdì mattina, nel corso del famigerato programma dell'altrettanta famigerata televisione del biscione (sto parlando ovviamente di Mattino Cinque e di Canale 5, già tristemente famosi alle cronache per l'ignobile servizio sul giudice Mesiano), una pseudo giornalista in ghingheri è apparsa davanti alle telecamere di Mediaset circondata dalle lapidi del camposanto di Avetrana. Chissà, forse in nome del diritto di cronaca (e magari in cerca di un insperato scoop) si era messa a favore di camera in una posizione strategica, probabilmente sperando in qualche "soffiata" dall'oltretomba da spiattellare all'incuriosita conduttrice Federica Panicucci. La soffiata non è arrivata, ma non certo per demerito della pseudo cronista: è alquanto risaputo che i trapassati sono di poche parole. Tornando alla tv seriale del dolore e della rappresentazione cruenta, debbo sottolineare come quasi tutti (con debite e rare eccezioni) gli operatori dell'informazione (o disinformazione, fate vobis) siano stati così tenaci dal non fermarsi davanti a niente, ma soprattutto dal non fermarsi mai, nonostante il fatto che le notizie siano sempre quelle, che il mostro in prima pagina è stato già sbattuto (oltre che in galera) e che anche la sorpresa della figlia dell'orco in gattabuia è stata metabolizzata. E così, in mancanza di nuovi accadimenti o di altri colpi di scena, ecco che i solerti ricercatori della verità si lanciano, con coraggio e disprezzo del pericolo (cosa si fa pur di portare a casa la pagnotta alla fine del mese), quasi come una muta di cani da tartufo, all'inseguimento di quell'eldorado della notizia in esclusiva cui la maggior parte di essi aspirano. E allora sotto con i dubbi, con le ricostruzioni, con i retroscena, le illazioni e le ipotesi, anche quelle più inverosimili e fantasiose. L'importante è attirare l'attenzione del popolo catodico, magari attraverso un primissimo primo piano degli occhi di Michele Misseri (l'orco), manco fosse l'interprete retroattivo di uno dei western targati Sergio Leone. Facendo seguire il tutto dalla solita incetta di opinioni da parte di criminologi, psicologi, dietrologi, avvocati, presenzialisti, donnine di spettacolo (un bel paio di cosce e due belle tette non hanno mai fatto male a nessuno) e via cianciando. L'accanimento e la foga messa in atto dagli interlocutori nelle loro sterili conversazioni sfiora quasi una sorta di umorismo nero, quasi involontario, e mi rimane difficile spiegare (prima di tutto a me stesso, poi ai miei lettori) il perchè il pubblico televisivo sia così morbosamente attratto dal dolore e dall'alibi che il crimine dà nel poter scrutare nella vita degli altri. Questo potrebbe essere un argomento ideale per qualche talk-show un pò più serio o serioso, mettendo per una volta i mass media sul banco degli imputati. Perchè, mi viene da dire, qualunque sia la risposta al quesito, la responsabilità dei mezzi d'informazione (con il loro soffiare sul fuoco della spettacolarizzazione ad ogni costo) sta diventando intollerabile e nauseante. Qualcuno ha, forse giustamente, discusso sulle presunte colpe di Federica Sciarelli, incapace di interrompere il suo Chi l'ha visto? mentre la mamma della povera Sarah apprendeva in diretta della confessione del cognato assassino. Ma la Sciarelli, almeno a mio modesto avviso, aveva la grossa attenuante di trovarsi lei stessa faccia a faccia con la notizia. Sotto lo stesso treno in corsa. E che dire allora dei conduttori, degli opinionisti e degli "esperti" che a distanza di giorni continuano imperterriti a pestare sangue e lacrime nel mortaio televisivo? Come si fa a trovare accettabile, se non doverosa, questa scioccante pornografia dei sentimenti? Allora mi chiedo: ma se questa non è la peggiore delle pornografie, che aspettiamo a sollecitare il processo di beatificazione per Moana Pozzi?
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