“(…) La neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina dove era sepolto Michael Furey. Si ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli. La sua anima svanì lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti.”
Brano finale de “I Morti”, ultimo racconto di GENTE DI DUBLINO di James Joyce
Un artista di strada a Dublino
Altri segnali indicanti la paralisi e l’immobilità dei Dubliners sono: la frustrazione, l’accidia e la malinconia dei personaggi. Dunque, il rapporto fra morti e vivi è il tema centrale de I MORTI (THE DEAD) dove il turbamento della protagonista femminile è l’intero fulcro della vicenda, turbamento provocato da un personaggio (Michael Furey) che non compare mai perché è morto, è assente. Solo pessimismo e tristezza, incapacità di scuotimento e di vitalità in GENTE DI DUBLINO, in generale, e ne I MORTI, in particolare? Ad una prima lettura, il messaggio di James Joyce sembra essere proprio questo. Infatti, la “paralisi” in GENTE DI DUBLINO diventerà paralisi dell’intera società umana “intrappolata” in una specie di fitta rete di convenzioni borghesi, di cavilli e dogmi religiosi, di valori, di intenti e di piani che non porteranno ad un miglioramento della condizione umana, nel suo insieme, e verso una libertà dell’essere che affranchi dalle catene di condizionamenti politici, tradizionali e pregiudiziali. Ad una lettura più profonda, però, sembra che James Joyce, attento e risoluto osservatore delle cose e degli esseri in evoluzione, lasci spazio alla speranza di annientamento della paralisi, e proprio nella chiusa de I MORTI, per mezzo della “neve che cade lieve su tutto l’universo” quasi a lavare, a purificare, a rinnovare, come in un Giudizio Finale, la città di Dublino, l’Irlanda, il mondo intero.(il bianco della neve è il colore della purezza, del candore, dell’innocenza edenica). Dagli ultimi decenni del secolo scorso, l’Irlanda, in genere, e la città di Dublino in special modo, sono diventati meta di turisti, di giovani, di artisti da ogni parte del mondo e di chiunque voglia sentirsi libero di vivere la propria vita e di realizzarsi al meglio in una società che attrae e accoglie. Passeggiare o semplicemente camminare per le vie e per i quartieri di Dublino è come passeggiare o camminare a New York, la città dalle infinite possibilità, calandosi e inebriandosi in un’atmosfera magica eppure meravigliosamente reale quanto intensa e unica al mondo. Possiamo, perciò, concludere dicendo che forse, nelle ultimissime battute de I MORTI, in GENTE DI DUBLINO, James Joyce ha davvero dato agli irlandesi, ai dublinesi e al mondo intero la possibilità di riscattarsi in grande dalla paralisi esistenziale dei tempi moderni.
Nel 1988, uno dei più grandi registi hollywooddiani di tutti i tempi, l’americano di origine irlandese John Huston, gira l’ultimo film di una lunga e felice carriera cinematografica tempestata di successi. In omaggio ai suoi, emigrati dall’Irlanda alla volta degli Stati Uniti d’America, si cimenta, con la macchina da presa, a portare sul grande schermo proprio I MORTI, l’ultimo racconto di GENTE DI DUBLINO di James Joyce, che egli ha sempre considerato un capolavoro letterario. Il film THE DEAD, I MORTI, di John Huston non è certo da meno, come capolavoro, da quello cui è stato ispirato ed è tratto.
Francesca Rita Rombolà